Non soltanto Taj Mahal: alla scoperta dell’India più sconosciuta

Laura Gigliotti

Dimentichiamo i templi moghul, Agra e il Taj Mahal, Benares e il Gange. Fino al 1° febbraio al complesso di vicolo Valdina della Camera dei deputati c’è l’India sconosciuta. Quella delle tribù a rischio sopravvivenza, l’8 per cento della popolazione indiana, sparse in zone impervie dell’immenso sub-continente indiano che sono da vent’anni l’oggetto dell’interesse di Roberta Ceolin e Claudio Tirelli. Dal punto di vista etnico «gli abitanti degli stati centrali - dice Tirelli - appartengono in maggior parte al gruppo proto-australoide; nelle aree sub-himalayane e nelle regioni di frontiera orientali hanno caratteri fisici mongoli; le tribù del sud e delle isole Andamane sono affini agli africani». Un tempo nomadi dediti alla caccia, alla pesca e alla raccolta di cibo nelle foreste, sono diventati in gran parte sedentari e solo alcuni gruppi hanno saputo conservare i tratti caratteristici della loro cultura che si differenzia notevolmente da zona a zona. In maggioranza animisti anche se in alcuni villaggi sono arrivati i missionari, credono che nell’al di là si perpetui la vita presente. Le famiglie allargate vivono in grandi capanne. Il capo tribù, ang, può avere più mogli, ma è solo la prima ad avere il privilegio di condividere con lui il focolare.
Le foto ce li mostrano impegnati nelle attività di ogni giorno. Una bellissima ragazza trascina una rete con l’incedere di una dea, altre due lavano stoviglie lungo un fiume. Ornamenti, dipinti, armi, strumenti musicali, sculture, abiti e«taglia betel» (utilizzati per la preparazione del pan, un blando stupefacente che masticano continuamente), ci aiutano a comprendere la loro vita.
È dell’inizio del XIX secolo un diadema in bronzo con bracciali per la sposa da lasciare in eredità. Altissimo il cappello cerimoniale con piume di pavone e di uccelli, corna di bue e conchiglie. Descritti per la prima volta alla metà dell’Ottocento gli animali totemici in bronzo fusi a cera persa dell'Orissa, conservati negli altari familiari o dati in dote. In bronzo anche l’albero della vita.

E poi i coloratissimi i tessuti realizzati con piccoli telai, i corpetti ricoperti di specchietti che dovevano tener a distanza gli animali feroci, i festoni ricamati, toran, messi davanti alle case, i pannelli dipinti dalla tribù dei warli. E l’eterno sogno del pescatore, un’immensa rete colma di pesce.
Vicolo Valdina 3/A. Orario: dalle 10 alle 18, dal lunedì al venerdì. Ingresso libero.

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