«Il nostro segreto: evitiamo le veline e litighiamo molto»

Parla Giuliano Sangiorgi, leader della band che ha suonato al «Gaber»: senza gavetta, il successo ci avrebbe fatto male

nostro inviato a Viareggio

Allora trovatela voi una band così, sempre al riparo dai pettegolezzi, mai fiocinata da qualche cattiveria, solo dedicata alla propria musica. Come spiega il cantante Giuliano Sangiorgi, i Negramaro sono «sei persone al servizio di una canzone» e, diciamolo, in questi cinque anni se ne sono accorti tutti, persino il re dei paparazzi, Umberto Pizzi che una volta li inquadrò nel suo obiettivo e poi disse: no, voi non siete gente da gossip. E via. Esplosivo, sempre entusiasta, Sangiorgi è il prototipo dell’artista di nuova generazione, pochissimo autoreferenziale e molto concentrato sulla musica: «Io sono un istintivo, qualche volta magari mi presento in modo sbagliato ma non posso essere diversamente: voglio che il pubblico mi veda per come realmente sono». Vedrà, il pubblico, anche il dvd del concerto di San Siro che la band ha appena finito di masterizzare a New York. Però solo pochi (si fa per dire: erano oltre tremila) ieri sera li hanno seguiti sul palco del Festival Gaber, qui alla Cittadella del Carnevale di Viareggio. Platea competente, brani del Signor G, applausi a raffica. «Per noi è stato un traguardo» spiegano loro con l’umiltà di chi vola in classifica ma non riesce a staccare i piedi da terra.
Negramaro, tempo di bilanci: dal primo disco di cinque anni fa siete diventati la band italiana più importante in circolazione. «Cinque anni di lavoro 48 ore al giorno. Abbiamo iniziato andando a bussare alle porte dei discografici. E se non avessimo fatto la gavetta che abbiamo alle spalle, il successo avrebbe potuto farci finire male».
In giro ci sono cantanti usa e getta.
«Magari prodotti e lanciati dalla televisione. Ma il rischio è che dopo una pillola di successo, ci sia soltanto il burrone».
Però è anche vero che siete gli unici rockettari che non sono mai stati «paparazzati».
«Forse perché non frequentiamo le Veline. E alle feste preferiamo passare le serate in qualche piccolo locale. Ad esempio, l’altra sera a Roma, in una osteria del Testaccio abbiamo suonato fino all’alba con Federico Zampaglione dei Tiromancino».
E poi vivete ancora tutti insieme in un casale a Breganzola, appena fuori Parma.
«E le nostre litigate – perché ovviamente litighiamo molto – sono sempre costruttive perché ci diciamo le cose in faccia. Come anche nella nostra musica, noi siamo persone dirette alla carne, alla radice delle cose».
Però avete fatto anche voi la solita trafila per debuttanti. Ad esempio avete partecipato al Festival di Sanremo condotto da Bonolis, dove siete usciti al primo turno. Ci tornereste?
«Di sicuro non in gara. Là per noi è stato un punto di partenza, un modo di farci vedere addirittura al nostro peggio. Ma abbiamo continuato a costruirci passo dopo passo».
E quest’anno siete andati persino in tour in Europa.
«Siamo stati molto rock’n’roll, viaggiando per le capitali su di un pullman come ai vecchi tempi. Ma un punto decisivo per noi sono stati i concerti nei teatri, una botta di vita: la delicatezza degli strumenti acustici è stata decisiva per ritrovarci».
E ora dove siete?
«Dove abbiamo sempre voluto essere: una band con un suono rock e un forte riferimento ai grandi cantautori del nostro passato».
Come Giorgio Gaber.
«A casa mia si ascoltavano le sue canzoni, naturalmente.

E ho sempre in mente il suo monologo Qualcuno era comunista. Al di là dei temi trattati, l’obiettivo dei Negramaro è quello di fare come lui: cantare canzoni senza tempo, che non hanno bisogno di essere attualizzate perché sembrano sempre scritte ieri».

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