
Io aspetto solo che al posto del rider mi arrivi un robot, così non devo aprire la porta facendo finta di essere gentile o di non essere sorpreso che sia arrivato puntuale (che poi paradossalmente sarei più gentile con il robot semplicemente perché è un robot e non un trentenne che odia quel lavoro e dunque anche me). Sappiate che il 10 agosto 2025, a Shenzhen, in Cina, hanno inaugurato il primo centro commerciale interamente gestito da macchine. Baristi che ti preparano il caffè con la temperatura esatta che hai ordinato, senza alzare un sopracciglio se lo vuoi tiepido, al vetro, in tazza grande, in tazza piccola, macchiato freddo, macchiato caldo (la variabilità di richieste degli italiani per il caffè manderebbe fuori di testa perfino Cahill, l’impassibile allenatore di Sinner). O commessi che non ti squadrano dall’alto in basso se chiedi la terza volta dove sono le pile stilo. O camerieri che non dicono “buona giornata” con quel tono che ti fa capire che sperano di non rivederti mai più.
A proposito, lo stesso giorno, a Pechino, un ristorante ha deciso di trasformare il servizio in uno spettacolo futuristico: umanoidi che cucinano pancake mentre recitano poesie della dinastia Tang (lo faranno ogni tanto spero, altrimenti diventano come i cantastorie romani a cui dai soldi purché se ne vadano dal tuo tavolo, solo che a un robot dei soldi che gli frega), e baristi robot che servono cocktail con movimenti da musical e dinosauri robot che passeggiano tra i tavoli senza apparente motivo se non quello di ricordarti che sei nel futuro e che il futuro ha anche le sue assurdità.
Intanto in Inghilterra l’azienda Ocado ha appena presentato il potenziamento dei suoi magazzini automatizzati: bracci meccanici “On-Grid Robotic Pick” che impacchettano la spesa con una delicatezza che un umano riserva forse solo a un vaso Ming. Niente commessi distratti che schiacciano il pane sotto le bottiglie d’acqua, solo algoritmi che dispongono ogni articolo in base a calcoli millimetrici.
Sempre in agosto, il fondatore della cinese Unitree ha annunciato che entro uno o due anni arriverà quello che lui chiama il “momento ChatGPT” della robotica: macchine in grado di entrare in un ambiente mai visto prima, orientarsi, capire il contesto e, per esempio, portarti una birra senza che tu debba nemmeno spiegare dove tieni il frigo (sulle previsioni andiamoci sempre cauti, lo abbiamo visto dopo l’annuncio di Altman su ChatGPT5 “come una bomba atomica”).
Negli Stati Uniti, invece, già dal 9 agosto 2025, nel Maryland, è operativo Parker, un robot-poliziotto progettato per sorvegliare parcheggi. Non usa il riconoscimento facciale, dicono: registra targhe e video con zelo da supplente al primo giorno di scuola, e non è chiaro se Parker faccia multe o si limiti a osservarti (da quello che ho capito credo possa passare dall’una all’altra funzione in base all’umore del suo software).
Tutto questo per dire che, in mezzo a tutta questa automazione, io potrei uscire di casa. Non per incontrare gente, naturalmente (non esageriamo) ma per vedere un robot che mi serve la spesa di persona. O meglio ancora, restare a casa e farmela consegnare da un androide non arrabbiato per il suo lavoro che non mi guarda male e non si aspetta che io sorrida.
Anche perché ormai, ogni volta che qualcuno mi chiede “come stai?”, rispondo con la strofa di Under Pressure: “That’s the terror of knowing what this world is about, watchin’ some good friend screaming let me out!” e quasi nessuno capisce, mi prendono per pazzo. Sono sicuro che un robot, invece, mi metterebbe la base e mi porgerebbe perfino un microfono incorporato.