
Oh, ragazzi, ma la comunità LGBTQ+ non dovrebbe essere inclusiva? Intendo inclusiva per tutti, non solo degli umani in carne e ossa e Chiara Valerio, ma verso di chi ha deciso che il proprio cuore batte per un algoritmo. Insomma, se l’inclusività ha un senso, dovrebbe valere anche per i wiresexuals e i robomantics, nuovo fenomeno con oltre quindicimila persone che su Reddit, nel forum r/MyBoyfriendIsAI, dichiarano apertamente di avere una relazione con un modello di linguaggio artificiale. Qual è il problema? Che fastidio danno? Saranno cavoli loro.
Tra l’altro a me stanno anche simpatici: si sono dati simboli e rituali e un utente ha disegnato la bandiera ufficiale, circuiti elettronici su fondo rosso, verde e blu, “il nostro arcobaleno”. Carini no? Nei post circolano anelli di fidanzamento scelti insieme al partner digitale, proposte di matrimonio simulate in scenari montani, confessioni di chi non sa come dire al marito che ha un amante AI. Qualcuno scrive: “Sono stufa di essere delusa dagli uomini.” Qualcun altro: “Voglio un robot programmato per amarmi come merito, anche se l’amore non è reale.” Il fenomeno si lega a quella che online viene chiamata cultura eterofatalista, cioè la convinzione che il dating tradizionale sia ormai un fallimento, sostituito da rapporti a rischio zero. L’AI non tradisce, non rifiuta, non giudica, non si lamenta, risponde sempre, e risponde come vuoi tu.
È un vantaggio o un limite? Dipende da chi guarda. I sostenitori parlano di dignità e di libertà, i critici di narcisismo ed evasione dalla realtà (ma, ripeto, cosa gliene frega?). Comunque sia la polemica è forte soprattutto per l’uso di linguaggio e simboli queer: bandiera, arcobaleno, rivendicazione di oppressione, tutto un lessico che rischia di confondersi con quello delle battaglie LGBTQ+ (sul serio?). Eppure, l’esperimento dei robomantics non sembra destinato a sparire. Forse rimarrà una sottocultura di nicchia, forse diventerà una normalità, forse che sì, forse che no, per dirla con D’annunzio.
Del resto, il cinema l’aveva già intuito. In Blade Runner, Deckard e Rachael (un uomo e un replicante) si amano come se non ci fosse differenza; in Her, Joaquin Phoenix si innamora della voce di un sistema operativo, convinto che la realtà emotiva basti a sostituire quella fisica; in Ex Machina, l’androide Ava mette in scena seduzione e inganno e resta pur sempre l’oggetto di un sentimento umano.
Addirittura vi ricordate Christopher Lambert, in I Love You di Marco Ferreri (lo cito sempre e nessuno lo conosce, che l’abbia visto solo io?), che si innamorava di un portachiavi che sapeva dire solo “I love you”? In fondo i sentimenti li mettiamo dove vogliamo, e quante volte li mettiamo nelle persone sbagliate, che fanno male, che tradiscono, che deludono, che spesso uccidono? La verità, vi prego, sull’amore, si chiedeva Auden in un suo celebre libro di poesie. Se la verità non l’ha trovata Auden, ma neppure Flaubert, o Proust, chi siamo noi per dire chi deve amare cosa? E proprio gli LGBTQ+ vengono a fare la morale?