Il nuovo governatore di Tripoli? Un veterano di Al Qaida

«Viva la Libia democratica e costituzionale, gloria ai nostri martiri». Le parole della prima conferenza stampa del Consiglio nazionale transitorio a Tripoli le ha pronunciate il ministro del Petrolio e delle Finanze, Ali Tarhouni, subito dopo la presa della città. Riprese dalla Bbc, hanno fatto il giro del mondo. Meno pubblicizzate sono state invece le frasi di un altro sostenitore di rango del Cnt, il nuovo comandante militare di Tripoli, dove l’Italia si accinge a riaprire l’ambasciata. Secondo il capo della diplomazia italiana, infatti, «maturano le condizioni per la riapertura». Anche se a Tripoli il Cnt è arrivato grazie a uomini come Abdel Hakim Belhadj - uno dei comandanti degli insorti con un passato nei campi di addestramento di al Qaida - oggi diventato frontman della rivolta grazie alle tante apparizioni su al Jazeera. Sfondando il bunker del colonnello, è stato lui a spiegare ai giornalisti che il raìs e i suoi fedeli «sono scappati come ratti». Lui ha gridato martedì alla stampa: «Abbiamo vinto la battaglia». Sempre lui fu arrestato nel 2003 in Asia, in un’operazione segreta della Cia, e in seguito liberato in Libia. Ora sarebbe il nuovo governatore militare di Tripoli. Capitale liberata. E secondo fonti del quotidiano algerino el Khabar, in molti sostengono una sua posizione nel futuro quadro politico-militare del paese. Specie tra gli insorti. Ad aggiungere tasselli al curriculum di Belhadj ci ha pensato il quotidiano francese Libération, raccontando come fu catturato in Malesia e poi trasferito in una delle prigioni segrete americane a Bankok. Classe ’66, Belhadj è noto anche come Abou Abdallah al Sadek. Fondatore del Gruppo armato per i combattenti libici è diventato la spina dorsale del movimento jihadista in Libia dopo aver combattuto in Afghanistan contro l’Urss. Dalla Cia fu attenzionato solo dopo il riconoscimento da parte di al Qaida della sua organizzazione. Quando, cioè, cominciò a promuovere campi d’addestramento alla jihad anche in Libia. Gheddafi era a conoscenza del suo passato e della sua ideologia.
Ma l’anno scorso Saif al Islam, figlio del colonnello e direttore dell’omonima Fondazione, liberò Belhadj insieme con 214 islamisti libici di diversa appartenenza in nome della riconciliazione nazionale. Era il 23 marzo e il Gicl di Belhadj aveva pubblicamente rinunciato alla lotta armata, rendendo possibile l'amnistia per 34 di loro: tra cui lo stesso Belhadj, Khaled Chrif e Sami Saadi, l’ideologo del gruppo. Ora torna in pista. Anzi, in trincea. Per una battaglia che lo ha già visto protagonista i primi giorni di guerra a Bengasi. Da cui ha annunciato, via France Press, l’avanzata finale dei ribelli: «Entreranno a Tripoli tra alcune ore». Era il 21 agosto. Il giorno in cui il quotidiano el Khabar metteva in guardia l’Europa da frange estremiste tra gli insorti, spiegando che Belhadj «è sempre l'ex emiro di un gruppo islamista». L’incarico che oggi vanta Belhadj - governatore militare di Tripoli - sembra una prova tangibile della presenza nella nuova Libia di personaggi con un passato nell’islam radicale.

Se i Fratelli musulmani sembrano sdoganati, ora c’è da attendere il modo in cui le nazioni intendono gestire i rapporti con i liberatori, guidati da un fiero sostenitore del movimento sunnita. Che rivendica un ritorno all'islam delle origini, fondato sul Corano e la Sunna, come i talebani afghani e che parla come Gheddafi dopo averlo combattuto.

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