«Il nuovo Irak sarà costruito non solo dagli anti-Saddam»

Megaconferenza a Bruxelles sugli aiuti al governo di Bagdad

Roberto Fabbri

nostro inviato a Bruxelles

«Abbiamo mostrato oggi al mondo che ogni contrasto sulle modalità della liberazione dell’Irak è superato e che ogni responsabilità sarà condivisa». Condoleezza Rice, convinta ideologa della politica interventista in Medio Oriente di Washington, è raggiante e decisa durante l’incontro con la stampa che ha concluso la Conferenza internazionale sull’Irak al Consiglio europeo a Bruxelles. Ottantacinque delegazioni di Paesi e istituzioni internazionali (per l’Italia era presente il ministro degli Esteri, Gianfranco Fini) si sono riunite con una folta missione del governo iracheno per mandare un messaggio molto chiaro: tutti, e non solo quanti hanno combattuto per abbattere il regime di Saddam Hussein, collaboreranno con il governo presieduto da Ibrahim Jaafari per costruire un Irak che sia parte integrante della comunità internazionale. E questo sarà fatto soprattutto nei settori cruciali dei valori democratici, della sicurezza e dell’economia.
Gli Stati Uniti hanno lavorato con l’Unione Europea su richiesta irachena per realizzare il vertice. La Rice, insieme col ministro degli Esteri iracheno Zebari, ha ricordato quanto sia stato fatto in meno di un anno: il ritorno dell’Irak alla sovranità, le prime libere elezioni, la formazione di un governo provvisorio. Ora si lavora alla nuova Costituzione irachena e già c’è chi si lamenta dei tempi troppo stretti. Ma giustamente Jean Asselborn, ministro degli Esteri del Lussemburgo che detiene la presidenza di turno dell’Ue, ha fatto spiritosamente osservare che almeno in questo campo l’Europa ha problemi ben peggiori.
La Rice e Asselborn hanno ripetuto più volte che i Paesi vicini dell’Irak hanno enormi responsabilità. Il segretario di Stato americano ha citato la Siria e i suoi atteggiamenti ambigui, un discorso che ha esteso anche alla situazione in Libano. Damasco, ha detto Condoleezza Rice, dovrebbe prendere parte attiva al processo di rinnovamento nato in Irak e con gli altri Paesi vicini assumersi le sue responsabilità verso Bagdad e la comunità internazionale. Il territorio siriano, ha aggiunto, non deve essere più usato dai nemici della stabilità irachena (leggi terroristi).
Il tema del terrorismo è stato citato spesso ieri a Bruxelles. Così, Asselborn si è prodotto in una dura requisitoria contro i terroristi attivi in Irak, che qualcuno (tanti in Italia) preferisce insignire dell’immeritato titolo di «resistenti». E il primo ministro iracheno, Al Jaafari, ha criticato aspramente «i rapporti di stampa che dipingono l’Irak come un Paese nel caos», insistendo sul fatto che il terrorismo «arriva dall’estero» e chiedendo aiuto sino a quando le forze irachene potranno combatterlo da sole. Asselborn - a nome dei 25 dell’Ue - ha chiesto alle Nazioni Unite, di fatto fuggite da Bagdad dopo una serie di sanguinosi attentati, di tornare a «svolgere un ruolo effettivamente centrale». Lo sfingeo segretario generale dell’Onu, Kofi Annan, ha fatto orecchie da mercante e ha sottolineato imperturbabile «la fierezza dell’Onu per aver fatto la propria parte al massimo livello possibile».
L’uditorio ha dedicato grande attenzione alle parole di Al Jaafari, giunto simbolicamente a Bruxelles con la sua folta delegazione di governo con quello che è stato il primo volo ufficiale fuori dall’Irak dall’imposizione dell’embargo del 1991. Il premier si è detto confortato dall’ampia solidarietà internazionale con il suo popolo e ha detto di sperare in un vicino futuro in cui il suo Paese sarà libero dall’oscurantismo e ha fatto un efficace paragone con la Germania nazista dopo il tracollo del 1945: anche gli iracheni, ha detto, escono da una dittatura sanguinaria e intendono assumersi le loro responsabilità democratiche. Sempre più iracheni, ha ricordato, si impegnano in politica su diversi fronti, facendo dell’Irak una società pluralista che vuole essere un modello per la regione.
La Conferenza sull’Irak non ha voluto essere un meeting di donatori, ma di denaro e di aiuti si è parlato eccome. Da Al Jaafari al suo ministro delle Finanze Allawi, da Annan alla Rice, in tutti i principali interventi questo tema è stato sottolineato, spesso criticando ritardi. Va ricordato che i principali donatori sono di gran lunga gli Stati Uniti (oltre 18 miliardi di dollari), seguiti dal Giappone, dall’insieme dei Paesi dell’Unione Europea e da monarchie del petrolio come l’Arabia Saudita e il Kuwait. Un particolare genere di aiuti è poi rappresentato dall’impegno militare di numerosi Paesi, Stati Uniti, Gran Bretagna, Italia e Polonia in testa.

Ma anche la Nato come tale fa la sua parte e il segretario generale Jaap de Hoop Scheffer ha ricordato l’impegno sul campo in Irak per l’addestramento dei quadri dell’esercito iracheno e la fornitura a Bagdad di armamenti.

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