Il nuovo look dell’islam: le moschee-centri culturali

È in atto in Italia un vistoso mutamento nella struttura apparente dell’Islam senza poter escludere che ciò stia avvenendo anche in altre parti del mondo o almeno nel mondo occidentale. Che questo mutamento sia stato suggerito da una società di pubbliche relazioni non è chiaro ma il fenomeno è senz’altro notevole. Qualche giorno fa il sindaco di una grande città del Nord Italia, mentre si parlava della sistemazione della nuova moschea nel territorio da lui amministrato, mi interruppe dicendo più che soddisfatto: «Non si tratta più di una moschea ma di un “Centro culturale”...!».
E i «Centri culturali» si moltiplicano. Innumerevoli garage, sparsi nel territorio nazionale, sono stati trasformati in tal senso. C’è da chiedersi che cosa caratterizza una «moschea» e che cosa caratterizza un «centro culturale» per un musulmano.
Mancando totalmente di sacralità e di sacerdoti la moschea è un luogo di riunione. La stessa parola «moschea» vuol dire «luogo ove ci si prosterna (ovviamente per pregare) ma questo un musulmano lo può fare ovunque avendo cura di una certa pulizia personale e separandosi - da qui il noto tappetino - da ciò che lo circonda che potrebbe essere immondo o impuro che dir si voglia. L’unico obbligo per il musulmano, ma la cui inosservanza non porta alcuna conseguenza negativa né verso gli altri musulmani né verso Iddio - che si sa è clemente e misericordioso - è quello di radunarsi per la preghiera il venerdì a mezzogiorno. Stabilito questo, è chiaro che i centri ove si raggruppano i musulmani in terra straniera possono chiamarsi indifferentemente «moschea» o «centro culturale».
Val la pena di notare che gli ebrei orientali, quelli immersi nei popoli slavi con barbe, boccoli e cappelli di pelliccia hanno sempre chiamato in Yidish «shile», ovvero «scuola», ciò che tra gli ebrei dell’Occidente europeo viene chiamato pomposamente «tempio», guardando alla funzionalità dell’edificio o della stanza ove si pregava sì, ma soprattutto si studiava.
Com’è stato dichiarato ultimamente, soprattutto in relazione alla polemica sorta in Svizzera dato che i progettati minareti per le nascenti moschee turbavano il profilo delle città svizzere, e cioè che la moschea non ha bisogno del minareto, così risulta chiaro che da questo mutamento nella denominazione dei centri di riunione dei musulmani in Italia sparirà presto il termine «moschea» che ricorda troppo le armate turche in marcia verso Vienna.


Del resto non si può ignorare che questo mutamento potrebbe essere anche frutto delle decisioni prese tempo fa alla Mecca dai «tre re»: il Sovrano dell’Arabia Saudita, il Re di Giordania e il Presidente Mubarak, e cioè non solo di combattere il terrorismo ma di parlare di Islam al mondo puntando sulla cultura e non sulla religione. L’Arabia Saudita finanzia ufficialmente le moschee ma alla grande moschea di Roma, riferiva Panorama qualche giorno fa, si lamentano della riduzione dei fondi a loro assegnati.

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