Il nuovo Miller versione papà cerca un oro per la sua Dacey

Whistler MountainUn grande. Questo è il Bode Miller visto in pista a Creekside. Un grande, perché due medaglie in due gare per lui che dal 2009 ad oggi sul podio c'era salito solo una volta in supercombinata dimostrano che ha la testa giusta, la capacità di centrare l'obiettivo che conta. Poi però guardi il Miller fuori dal parterre e allora pensi che sarà pur grande sì, ma è anche tanto difficile da maneggiare, come sempre. Lo sa anche lui, che infatti continua a ribadire «non sono cambiato, se mi vedete diverso è un problema vostro, io sono sempre lo stesso anche se rispetto a quattro anni fa, Giochi di Torino, ho ripreso possesso del mio io».
Scusi? «Tutti, esperti e incompetenti, dagli Stati Uniti all'Europa, tutti allora si erano sentiti in dovere di dire o scrivere chi ero, com'ero, cosa facevo e cosa invece avrei dovuto fare e quante medaglie dovevo vincere. Sapevano tutto loro, io non ero più in possesso delle mie azioni». E ora? «Ora sono qui perché ho deciso io di esserci. A settembre, cinque mesi fa, vivevo come in un altro mondo, non ero più uno sciatore, non più un atleta, non avevo un paio di sci a casa mia, non uno di scarponi, non una squadra, un allenatore o uno skiman. Avevo solo un vago pensiero di tornare per fare bene a questa Olimpiade e ora sono contento perché gareggiare con l'ispirazione e il controllo delle proprie azioni dà sensazioni uniche».
Ha ragione Bode a dire che non è cambiato, di sicuro non lo è nell'approccio alla gara, nel modo selvaggio di prepararla e poi affrontarla. Venerdì, giorno del superG che gli ha dato l'argento portando a quattro il suo bottino di medaglie olimpiche, ha impiegato dieci minuti per fare la ricognizione. Gli altri, quasi tutti, sfruttano tutto il tempo a disposizione, di solito 45 minuti, per studiare nei minimi dettagli ogni curva, ogni gobba, ogni pendenza. Scendono, risalgono a scaletta, cercano di guardare le cose da tutti i punti di vista, immaginando la velocità a cui arriveranno in gara. La pista di Creekside, fra l'altro, è particolarmente insidiosa con tutti i suoi dossi, ma niente, per Bode era come tutte le altre, lui non si è fermato quasi mai a studiare e analizzare, lui ha dato un'occhiata veloce alle linee, al terreno e poi giù. Il primo degli altri è arrivato in fondo venti minuti dopo di lui. Quell'occhiata veloce gli è bastata però per fargli decidere di scendere con gli sci da discesa, unico fra i partenti, «per sfruttare quel senso di follia ed esaltazione che sentivo dentro di me quando ero dietro al cancelletto».
Venerdì era anche il compleanno di Dacey Miller, la figlia che Bode ha avuto da una ex fidanzata nel 2008 e per la quale un anno fa dopo i fallimentari Mondiali della Val d'Isère aveva abbandonato il circuito con la minaccia, poi rientrata, di non tornarci mai più. «Mia figlia ha due anni, è piccola, ma spero che un giorno sia fiera di questo regalo che le ho fatto oggi». Ecco, in questo Bode Miller sembra davvero un altro, la dolcezza nei suoi occhi, mentre parla della figlia, era sconosciuta prima. «L'estate scorsa è stato bellissimo passare tante giornate con lei al mare, al caldo, a giocare e ridere assieme. Ogni tanto pensavo ai miei colleghi che stavano prendendo freddo su qualche ghiacciaio europeo e mi sentivo davvero fortunato. Poi però…». Poi però è tornato. Figliol prodigo, è tornato in squadra. Accolto a braccia aperte dagli ex compagni, che lo hanno sempre considerato un mito, un esempio da imitare.


Oggi in supercombinata Miller andrà alla caccia della terza medaglia, quella su cui alla vigilia puntava di più, dopo la vittoria di Wengen a gennaio. Perché bronzo e argento sono belli, ma un giorno, quando sarà grande, raccontare a Dacey com'è diventato campione olimpico avrebbe tutto un altro sapore.

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