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Un nuovo patto sociale contro il "landinismo"

Abbiamo evidentemente bisogno di un patto sociale, come fu ad esempio con Ciampi nel 1993, di una patto per la produttività, di un patto per il futuro che è, invece, all'ultimo posto nei pensieri di Landini

Un nuovo patto sociale contro il "landinismo"
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È ormai chiaro che il "landinismo" è la malattia senile di certo sindacalismo. Ma le vere conseguenze economico sociali del signor Landini non sono state sin qui ben esplorate. Secondo gli artt. 39 e 40 della Costituzione e secondo la nostra costituzione materiale, la vera funzione dei sindacati dovrebbe essere soprattutto quella della contrattazione collettiva. Landini e la sua Cgil non sembrano invece molto presi dalle brighe di una sana contrattazione collettiva.

Una delle ragioni per cui in questi anni abbiamo avuto ritardi nella stipula di tanti contratti collettivi di settore è l'apparente scarsa motivazione della Cgil rispetto a questa sua funzione istituzionale e le divisioni in senso a quello che un tempo era la triplice sindacale.

Si è creato infatti un netto divario fra il cammino della Cisl e il cammino della Cgil. Nell'ultima fase poi la Uil, che negli ultimi anni sembrava un po' mosca cocchiera della Cgil, ha rescisso i suoi legami con la Cgil. È chiaro che con i tre sindacati che viaggiavano in sintonia anche il cammino delle contrattazioni collettive e della reale difesa degli interessi dei lavoratori era più semplice.

Sembra ormai invece che per la Cgil fare sindacato sia quasi solamente dover andare in piazza, preferibilmente a Roma di venerdì (turisticamente più accogliente), anche per favorire fine settimana di quelle larghe truppe di pensionati che formano le piazze della Cgil. Diventato più un sindacato di pensionati che un sindacato di lavoratori, visto anche che i pensionati sono almeno la metà degli iscritti.

L'altro target su cui mostra di puntare Landini, in questa torsione del ruolo del sindacato, è quello degli immigrati attingendo tra l'altro, come ha ben documentato nei giorni scorsi il Giornale, a cospicui fondi europei destinati all'immigrazione.

Quanto invece alla funzione che caratterizza il ruolo dei sindacati nei Paesi europei più seri (come ad esempio in Germania), la concertazione tra governo e parti sociali, Landini mostra di rifuggirne.

Meloni ha più volte riaperto al confronto con le parti sociali, il tavolo della sala verde di Palazzo Chigi, ma Landini non ha fatto nulla più che il "signor no".

Questo nonostante la Cisl di Fumarola, e l'Ugl e nell'ultima fase anche la Uil, abbiano spezzato una lancia a favore del patto sociale, anche perché sanno che è il modo migliore per favorire la crescita della produttività. E senza crescita della produttività non possono crescere i salari, da troppi anni al palo.

Di tutto questo a Landini sembra importarne ben poco. Eppure corre il rischio che man mano, al posto della storica triplice sindacale Cgil Cisl e Uil, si affermi una nuova triplice sindacale Cisl, Uil e Ugl. Tre sindacati che sanno bene che il mestiere fondamentale del sindacato è quello della contrattazione e che mostrano di conoscere i benefici di una nuova concertazione tra governo e parti sociali.

Abbiamo evidentemente bisogno di un patto sociale, come fu ad esempio con Ciampi nel 1993, di una patto per la produttività, di un patto per il futuro che è, invece, all'ultimo posto nei pensieri di Landini. Lui è il re delle piazze del venerdì, degli scioperi solo cosiddetti generali con ben pochi al seguito ed è già nelle vesti di parlamentare ed esponente politico con taglio estremista della sinistra.

Le conseguenze sin qui le pagano soprattutto i lavoratori

(ma anche gli imprenditori e i cittadini) grazie alla stasi della produttività e delle retribuzioni e ad una sorta di sciopero-mania che ha caratterizzato questo autunno, di cui Landini è il primo alfiere e protagonista.

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