Obama e Medvedev, prove di amicizia dopo gli anni del gelo

Il vertice russo-americano. Domani il presidente Usa arriva al Cremlino Mezzo secolo di Storia tra diffidenze e aperture. La Guerra fredda è lontana, ma anche lo strapotere che aveva Washington non esiste più

Obama e Medvedev, prove di amicizia dopo gli anni del gelo

Quando Bush incontrò per la prima volta Putin, nel 2001, disse: «Ho guardato quest'uomo negli occhi. E questo per me basta». È improbabile che Obama ripeta la stessa frase quando lo incontrerà domani a Mosca e non solo perché Putin non è più il presidente russo, bensì solo il primo ministro, per quanto molto influente. I due uomini istintivamente non si piacciono. Il presidente americano è troppo liberal, cosmopolita e buonista per ricevere la stima di un'ex spia del Kgb, sensibile al lusso. Vladimir è troppo drastico, sospettoso e ancorato alle vecchie logiche sovietiche per sedurre il leader più amato al mondo. E in otto anni sono cambiati i rapporti di forza tra i due Paesi. Prima dell'11 settembre l'America era l'unica superpotenza e la Russia il gigante avvilito che, con molta difficoltà, usciva dal tracollo finanziario del '98. Oggi gli Usa, sebbene ancora primi, sono in affanno economico e non hanno più la forza di imporre la propria volontà agli altri; mentre Mosca, nonostante le sofferenze di ampi settori della società civile, è ricca grazie al petrolio e alle materie prime ed è tornata a contare sulla scena internazionale
È improbabile che il vertice al Cremlino sorprenda gli osservatori. Obama e il presidente eletto Medvedev si accorderanno per una riduzione delle testate nucleari e annunceranno l'intenzione, non si sa quanto sincera, di sviluppare relazioni più distese rispetto agli ultimi difficili e polemici anni dell'era Bush. Il summit, tuttavia, è importante se lo si legge in una prospettiva storica. I rapporti tra Mosca e Washington seguono lunghe parabole in grado di influenzare i destini del mondo, soprattutto quando la Russia si chiamava Unione Sovietica.
Amici in guerra, contro Hitler; nemici in pace, dopo Yalta. Bastarono due anni per spazzare via l'illusione di una convivenza tra i vincitori della Seconda guerra mondiale e per creare una situazione senza precedenti; né di vero conflitto, né di autentica tregua: la Guerra Fredda, che iniziò nel 1947 e fu innanzitutto ideologica - la democrazia capitalista contro la dittatura comunista - ma anche imperiale, con la divisione dapprima dell'Europa e poi con la lotta per il controllo di ampie zone del mondo, in Africa, in Asia, in America Latina.
Una guerra che inizialmente fu glaciale. Dopo il summit di Potsdam nel luglio del 1945, Harry Truman rifiutò qualunque incontro con Stalin e fu necessario attendere il 1959 per celebrare il primo incontro bilaterale tra i leader delle due superpotenze. Stalin era morto da sei anni ed era stato ripudiato dal suo successore, Kruscev, che ne denunciò i crimini contro l'umanità e che per primo tentò la distensione con il grande nemico liberale. Leader passionale, Nikita, viaggiò per dodici giorni negli Stati Uniti, dopo aver stretto la mano al capo della Casa Bianca Eisenhower ed essersi beccato pubblicamente con Richard Nixon, di fronte a uno stand di cucine componibili, assurte a simbolo del benessere occidentale. Incontrò John Fitzgerald Kennedy, da poco eletto, a Vienna. Ma il dialogo, per quanto vivace, durò poco. Durante un'assemblea dell'Onu Kruscev si tolse una scarpa, la agitò in aria e la picchiò sul banco per contestare la delegazione filippina e quella americana. Nel 1961 diede il via libera alla costruzione del Muro di Berlino, sfiorando il disastro proprio con Kennedy per i missili a Cuba.
Nel 1964 iniziò la lunga era di Breznev e coincise con la sconfitta americana in Vietnam, l'avvento del fondamentalista sciita Khomeini in Iran, che scalzò lo Scià amico degli americani, l'invasione russa dell'Afghanistan; mentre i Paesi della Nato e quelli del Patto di Varsavia vivevano sotto lo spettro dell'apocalisse nucleare. I vertici divennero una consuetudine, per quanto ipocrita: i leader dei due Paesi parlavano di pace e di disarmo ma continuavano ad incrementare gli arsenali atomici. Il declino fisico di Breznev coincise con quello economico dell'Urss, ma fu necessaria l'ultima sfida di Ronald Reagan per renderlo palese. Il presidente cowboy definì l'Urss l'impero del male e lanciò la corsa alle «guerre spaziali», costringendo Mosca a sprecare le ultime risorse di un sistema sfinito nel tentativo di rispondere alla sfida.
Nel 1985 il Pcus si affidò a un leader, Gorbaciov, che promise Glasnost e Perestroika, ovvero trasparenza e riforme. Abbassò la guardia, aprì le braccia al mondo, parlò di pace e di speranza. Come oggi Obama. I suoi incontri con Reagan commossero il mondo; le sue visite all'estero venivano salutate da folle adoranti, anche in Occidente, anche a Milano. Ma la sua fu un'utopia. Tra il 1989 e il 1991 l'impero comunista crollò e l'Urss cessò di esistere. L'America aveva vinto.
Iniziò una nuova era, durata fino all'estate del 2008. L'era dell'amicizia. Apparente e senza dubbio squilibrata. La Russia era molto più piccola dell'Urss e aveva perso oltre alla tensione ideologica, anche quella morale e civica. Eltsin divenne il simbolo di un Paese in declino e sfiduciato. Ai vertici, Clinton continuava a riservargli grandi onori e gli spalancò le porte del G7, che divenne G8; ma dietro le quinte la Casa Bianca iniziò a sviluppare una strategia di conquista dello scacchiere euroasiatico, che implicava il ridimensionamento delle zone d'influenza russe. Washington fece entrare nella Nato tutti i Paesi europei del Patto di Varsavia, che divennero rapidamente membri dell’Unione europea. L'intervento occidentale nelle guerre dell'ex Jugoslavia fu tardivo, ma permise agli Usa di conquistare i Balcani, ridimensionando la Serbia da sempre amica del Cremlino. Dopo l'11 settembre 2001 Bush stabilì basi militari e nuove alleanze in Kirghizistan, Uzbekistan, Tagikistan, ovvero nei Paesi asiatici dell'ex Urss. Mancavano solo due tasselli per completare l'accerchiamento della Russia: la Georgia e l'Ucraina, conquistate nel 2003 e nel 2004 grazie alle Rivoluzioni colorate, in apparenza spontanee, in realtà pilotate da società di comunicazione al servizio di Washington.
Bush era persuaso che Putin non avrebbe contrastato i suoi piani e che come Eltsin si sarebbe accontentato dei salamelecchi pubblici in occasione dei summit. Grave peccato di superbia. Dal 2004 Putin ha sfidato apertamente la Casa Bianca, ottenendo notevoli successi, fino alla crisi in Abkhazia e Ossezia del Sud di un anno fa.

Per la prima volta il Cremlino ha affrontato militarmente un alleato strategico degli Usa, la Georgia, vincendo. E ora pretende di trattare alla pari con Washington. Da Obama, Medvedev e alle sue spalle Putin aspettano innanzitutto il riconoscimento di una ritrovata grandezza.
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