Ma cosa mi combina, caro Granzotto? Anche lei getta la spugna e non crede più nella vittoria di John McCain, che suona più dolce alle orecchie rispetto alla sconfitta di Barack Obama? Nel suo recente scritto dice di riporre ancora un filino di speranza nellopera devastatrice di Giovanna Melandri, accorsa negli States per condurre una campagna elettorale a favore del candidato nero e se si è ridotto a questo significa proprio che non ci crede più. La crisi finanziaria sta aiutando Obama, che si presenta come simbolo del cambiamento, perché in questo preciso momento la richiesta di cambiamento è altissima, ma io voglio ancora credere che al momento di votare lAmerica saprà scegliere senza farsi influenzare dai subprime. E la invito a pensarla come me.
Ma non ho mai cessato di farlo, caro Maggiore. Obama è in testa, daccordo, tuttavia bisogna tener conto che mai come in America i sondaggi elettorali hanno margini di inattendibilità così elevati. Ed è normale che sia così perché quello è un elettorato poco ideologizzato e dunque molto mobile. Molto imprevedibile. Se è vero poi che basta il colore sbagliato della cravatta per farti perdere consensi, allora la campagna elettorale è ancora tutta da vedere. Però alla fine, quando si tratterà di mettere la scheda nellurna dove Dio ti vede ma Martin Luther King no, penso proprio che sarà determinante il fattore pelle. In ossequio alla political correctness largomento è sempre stato sfiorato, ma il punto è questo: è pronta, è disposta lAmerica a vedersi rappresentata da una coppia di colore? Il razzismo non centra o centra in minima parte perché la questione attiene, molto più in generale, al sentimento identitario degli americani, che amano la loro patria («Right or wrong its my country», giusto o sbagliato sto col mio Paese) e che ne coltivano e rispettano i simboli (gli Stati Uniti sono tutto un garrire di bandiere a stelle e strisce e in nessunaltra nazione al mondo si intona così frequentemente e coralmente linno nazionale). Mi sembra ovvio, pertanto, che sinterroghino - parlo ovviamente della smisurata parte dellAmerica che non sia New York, gli Hamptons e lisola di Marthas Vineyard - chiedendosi se Barack e Michelle Obama possano fisicamente rappresentare gli Stati Uniti, incarnare lidentità nazionale, simboleggiare una società che è sì multiculturale e multirazziale, ma che ha il suo midollo nel ceto Wasp, White, Anglo-Saxon Protestant. Bianco, oltre che anglosassone e protestante. È una questione di immagine, dunque, più che politica. Tantè che il «cambiamento», grido di battaglia dei democratici, sta tutto lì. Obama è bravo, a taluni appare persino fascinoso. Sa muoversi e sa parlare. Ma non è in quel che dice che gli americani ravvisano il change, il cambiamento.
Paolo Granzotto
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