Politica

Obiettivo: 40%. E candidati scelti in periferia

Adornato: «Un partito nazionale con forte impronta federale: le indicazioni di Roma non dovranno pesare più del 30 per cento»

da Roma

Genesi di unità del centro-destra: prendere i consigli nazionali o altri organi dirigenti di An, Udc e Forza Italia o - in alternativa - convocare una convention degli eletti entro fine luglio e designare a quel punto un «comitato costituente» di 70-80 persone scelte con metodo paritario tra i partiti-fratelli. Non è il solito bla-bla quello che Fernando Adornato presenta alla platea del centro-destra convocata in pieno centro di Roma per un’analisi sulla via dell’unione.
«Proposta di una nuova casa comune» recita del resto la sua relazione. Filosofia, di cui pure è esperto, pochina. Metodi, scelte e tempi, parecchi. Sarà anche il frutto del trionfo astensionista nel referendum sulla procreazione assistita - che non a caso in parecchi citano - ma l’impressione è che almeno in Forza Italia si sia convinti che è finito il tempo del dibattito. E che bisogna decidere. Adornato s’è applicato con mestiere alla bisogna. Tratteggia appena la necessità di «arrivare per primi a proporre ciò di cui l’Italia ha bisogno: tornare cioè a contare su un “partito forte” che si situi attorno al 40% dei consensi» per superare il bipolarismo immaturo.
Sei le indicazioni di marcia, tutte molto concrete che illustra, da affidare ai padri costituenti. La prima riguarda la creazione di un movimento «dei valori». Mai come oggi, visto il fiorire di preoccupanti interrogativi sul futuro - rileva Adornato - c’è la necessità di «poter contare su un quadro di riferimenti identitari chiari e forti». In secondo luogo serve che il nuovo soggetto politico unitario sia capace di costruire un suo «progetto di società» e anche un «programma di governo», ma pur essendo questi valori gemelli è necessario distinguere tra ruoli di partito e ruoli di governo. Incompatibilità, dunque. E a tutti i livelli: da palazzo Chigi ai consigli comunali. Ancora, Adornato suggerisce l’adozione di regole che portino a creare un partito «nazionale e federale», ovverosia una formazione capace di concedere forte autonomia regionale, tant’è che ipotizza che ben il 70% delle candidature per le politiche possa nascere sul territorio lasciando alle indicazioni di Roma un 30%.
Quarta indicazione di marcia, «la trasparenza»: l’idea è quella di un sistema elettorale interno fondato su mozioni politiche e liste collegate votate a scrutinio segreto su base proporzionale. Ma poiché non s’intende cadere nel tranello - sperimentato nella prima Repubblica - del partito delle tessere, ecco che a far fede (per i congressi) all’elezione dei delegati non saranno gli iscritti, ma i voti riportati dalla formazione sul territorio. Ancora si sollecita l’adozione di scadenze per i mandati direttivi, in modo da non permettere il cristallizzarsi del potere. Quinto capitolo, l’apertura alla società civile che potrebbe realizzarsi anche nei congressi attribuendo ad associazioni, club e quant’altro un 20% dei delegati a fronte del 40% lasciato agli eletti e ad un altro 40% da attribuire ai rappresentanti del territorio. Ultima, ma non per importanza, la necessità di identificare terreni - Fondazioni, centri studi, riviste - per la formazione delle classi dirigenti. Molti consensi per le ipotesi messe a punto, e anche qualche suggerimento. Guai a muovere lasciandosi dietro qualcuno, ha osservato Cicchitto.

«Partito unico, non pensiero unico» ha ammonito Tajani.

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