di Lucia Galli
La professione nel nome, i record nel destino: Novella Calligaris, oggi è giornalista e la buone novelle di sport le racconta ogni giorno, ma per tutti è la signora del nuoto italiano ad aver scritto la storia e fermato il cronometro prima delle altre, anche della sua leggendaria «collega» Federica Pellegrini. Le due campionesse si sono riviste in questi giorni a Rio de Janeiro, una col microfono di Raisport in mano, l'altra col magone per una medaglia sfumata per un soffio. E Novella si è rivista in Fede: la sua gara oggi è porre domande agli sportivi, come avrebbe voluto che si facesse con lei anni fa. Calligaris ha vinto tutto in 8 favolose stagioni dal 1968 a metà anni Settanta con 22 primati europei, 76 record italiani. Prima e giovanissima medaglia olimpica del nuoto italiano, a Monaco '72 fa tris: argento nei 400 e bronzo negli 800 stile libero, bronzo anche nei 400 misti. L'anno dopo negli 800 stabilisce il record del mondo.
Ha fatto pronostici per Rio? Più medaglie maschili o in rosa?
«L'Olimpiade è una gara a sé, una prova secca. Difficile fare previsioni. Magari ci arrivi col record del mondo in tasca e poi non combini nulla. Quest'anno il 48% della delegazione azzurra è donna. Ed è già un bel risultato».
L'affaire dopingRussia, prima esclusa, poi riammessa dimostra che...?
«Una vicenda dolorosa che ci riporta indietro nel tempo, al doping di Stato. E ci consegna una triste verità: comunque vada, non è così che si aiutano gli atleti e si estirpa il doping. I ragazzi sono sempre vittime del sistema: lo erano ai miei tempi le tedesche dell'Est che poi, dopo la carriera, ho visto ammalarsi, avere la vita rovinata. Chi arriverebbe a quel punto?».
Anche in casa abbiamo una vittima con Alex Schwazer?
«È stata una trappola a lui e al suo coach Sandro Donati. Non parlo del passato, ma non credo a questa ricaduta proprio per i metodi e i tempi sospetti con cui sarebbe stata scoperta. Inoltre è stato ridicolo spostare l'ultimo verdetto, fra l'altro già scritto, a Rio, costringendo un atleta a spese enormi di viaggio e ad una tortura psicologica. La sua vicenda è un'altra sconfitta per lo sport».
Domandona: com'è cambiato il nuoto in 40 anni?
«Totalmente. Ai miei tempi era tutto più grezzo. C'eravamo io, il mio allenatore e la linea nera in piscina. Oggi devi avere un team, il mental coach, seguire una dieta, tutto è registrato. Io mi incollavo il costume da sola perché facesse meno attrito. Oggi poi i ragazzi sono più armoniosi nello sviluppo, i nuotatori anni fa erano compatti come Primo Carnera. L'antidoping era agli albori e gli atleti non duravano che poche stagioni».
Il nuoto che cosa toglie e che cosa dà?
«Dà armonia e monotonia. Il nuoto è lo sport più completo. Usi tutti i muscoli in assenza di peso, senza affaticare la colonna vertebrale. Però serve moltissima motivazione per sopportare ogni giorno ore di allenamento sempre uguali. Ma seguire quella linea retta sott'acqua è utilissimo anche per rigar dritto nella vita».
Lei ha sconfitto tutte, dalle americane alle tedesche dell'Est: un bel viatico per la vita
«Sul lavoro o nei rapporti personali, quando ho un problema mi fermo e penso: se ho battuto loro, troverò la soluzione anche stavolta».
Novella è la signora del nuoto azzurro, Federica (Pellegrini) la signorina?
«Lei è un fenomeno. E lo sta dimostrando anche a Rio, nonostante il podio sfumato. Il confronto con chi ha stabilito in carriera 11 record del mondo, grazie, ma non può reggere. Lei, oltre a record e medaglie, ha una longevità che resterà un unicum a livello internazionale. Io ho smesso a 19 anni, lei gareggia da 13 stagioni».
In che cosa si rivede in lei?
«Forse, se posso azzardare un paragone, credo che ad accomunarci siano la determinazione, la capacità di sopportare una grande mole di lavoro e la voglia di rinnovare la sfida con se stessi».
Dopo i 200 metri, la Pellegrini sembrava a pezzi, pronta al ritiro: che consiglio le può dare per il dopo sport?
«Non ne ha bisogno, ma le auguro di saper profondere la stessa energia che ora mette nel nuoto in una nuova sfida della vita, qualunque cosa scelga di fare».
Festeggia i suoi anniversari dei vari record?
«No, ho smesso, vivo di presente».
Oggi nuota al mare o in piscina?
«Al mare, sempre, sono allergica al cloro! Quando mi allenavo me ne buttavano poco e in gara mi cospargevo di unguenti».
È più difficile fare la nuotatrice o la giornalista: anche con le news, in fondo, serve galleggiare...
«Direi che quando sei atleta dipende da te, quando sei in redazione non più. Io sono un'entusiasta. Un fiore che riesco a coltivare, un dolce che non brucia mi danno gioia. E credo che insieme alla curiosità, che ho sempre avuto, non perdere l'entusiasmo sia ancora la chiave di questo mestiere. Appena smisi di nuotare Mario Gherarducci mi chiamò al Corriere della Sera».
È diventata più indulgente con la stampa, ora che fa lo stesso mestiere?
«C'erano colleghi che ricordo con affetto perché seppero capire le ragioni della mia scontrosità. Altri meno. A 13 anni la prima Olimpiade, a 17 la seconda, a 19 game over. Ero una ragazzina. E mi ritrovavo le telecamere fuori casa, mentre avrei voluto vivere i miei tempi, già rigorosissimi, fra allenamenti e tempo libero, come tutti i miei coetanei. Quello che scrivevano non mi interessava, anche se indubbiamente la popolarità poteva aiutarmi. Non c'erano uffici stampa, né sponsorizzazioni. Senza la mia famiglia non ce l'avrei mai fatta. Nonostante questo, non mi interessava essere la figlia d'Italia».
La domanda da non fare mai ad un atleta?
«L'importante è avere sempre rispetto e non guardare mai dal buco della serratura. Oggi capisco le esigenze televisive, soprattutto delle interviste a caldo, e ho quasi capito anche certe domande: A chi dedichi la vittoria?, Ti dispiace aver perso? e mettiamoci anche l'incredibile Sei felice di aver vinto?. Tutto può avere un senso. Io, però, se posso, mi fermo un attimo e osservo i ragazzi nelle loro espressioni di gioia e dolore e solo poi li avvicino per le domande».
Un flash giornalistico delle sue due Olimpiadi?
«Beh, la mia carriera è sempre stata accompagnata da fatti storici importanti, spesso estremi. Nel 1968, dieci giorni prima dell'inizio dei Giochi ci fu la strage di Piazza delle Tre Culture a Città del Messico. A Monaco 72 io vincevo tre medaglie, ma Settembre nero seminava morte e terrore. E nel 1973, il mio record arrivò due giorni prima del golpe di Pinochet».
Sport e cronaca si sono fusi nella sua vita, invece, la politica l'ha delusa?
«Forse, mio malgrado, fui un poco trascinata. Diedi una mano per la candidatura olimpica di Roma 2004, Giochi poi assegnati ad Atene e nel 1994 mi candidai nelle lista di Mario Segni in Liguria. Fui esclusa per 5 firme. Ricordo una bellissima esperienza fra la gente, ma non sono molto diplomatica. No, basta politica».
Ci si affeziona più ad un record, o ai propri «figli» si vuole lo stesso bene?
«Si vuol bene a tutti: certamente il record del mondo è nel mio cuore ma accanto ai 22 record europei».
Sogna mai le sue gare?
«Sogno molto, ma mai una gara, nemmeno come incubo. Il mio unico incubo è un gatto che mi graffia».
La sua prossima gara?
«Con i giovani: dipende da noi che trovino il loro posto nel mondo, bilanciando le loro aspettative con le reali opportunità. Collaboro da tempo, anche attraverso il Coni, con la fondazione Giulio Onesti e seguo anche quest'anno Run for art, un contest che si terrà a settembre a Strasburgo, che mette insieme sport e una delle arti: quest'anno toccherà alla fotografia».
Che cosa la spaventa in questo mondo e le fa desiderare di rimettere la testa sott'acqua?
«Sono sempre stata fatalista. Nel 2011, a novembre, ero regolarmente a New York per la maratona. Credo che non dobbiamo smettere di vivere e sperare. Così, di sicuro, perdiamo noi».
Ma per imparare a nuotare, la prima regola è sempre buttarsi in acqua?
«No! Io sono una pessima insegnante, ma direi che il fai-da-te è sempre da evitare. Servono buoni maestri: per me è stato così».
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