Quasi uno sfogo, denso di frustrazione. Quella di chi è convinto di conoscere il nome dell’assassino, ma non può rivelarlo. E soprattutto, dopo oltre venti giorni di indagini snervanti e forse imperfette, non riesce ancora ad arrestarlo.
«Non è stata una vendetta. L’omicidio di Chiara Poggi è avvenuto in un momento di follia, un attimo che può capitare a chiunque»».
Ha il sapore della perifrasi l’affermazione del procuratore capo di Vigevano Alfonso Lauro, che in un’intervista a «Studio Aperto» traccia un profilo criminologico dell’assassino della giovane massacrata a Garlasco lo scorso 13 agosto a Garlasco. Un messaggio trasversale diretto forse anche all’assassino e a chi osserva e aspetta il risultato di questa inchiesta che sembra non trovar mai approdo. Un modo per dire: «Non aspettatevi chissà quali novità, il killer di Chiara non è un mostro».
Cosa rimane, per esclusione. Lui, Alberto Stasi, il fidanzato dallo sguardo un po’ «così» che quasi 20 ore di interrogatori serrati non sono bastate a scalfire.
Eppure qualche certezza, per non dire di più, gli investigatori dimostrano di averla, almeno ad ascoltare le parole di Lauro. Che illustra un quadro, uno scenario le cui tinte fosche si delineano per andare poi a perdersi nell’insondabile della mente umana: «Il delitto è avvenuto in un momento di follia perché la stessa efferatezza non sembra trovare riscontri in vendette, gelosie o cose simili, momento di follia che può essere di tutti quanti noi, che può succedere a chiunque, e per l’autore del fatto in quel momento è stata di una rilevanza estrema che ha determinato la perdita di ogni freno inibitore». «L’omicidio - prosegue Lauro - è avvenuto in una famiglia normalissima, poiché non vi sono anomalie di relazioni di rapporti. È ovvio dunque che l’unico ambito in cui possiamo cercare è quello familiare o amicale e simili».
Sulle critiche alla procura per la lunghezza delle indagini la replica del procuratore capo è secca: «Noi abbiamo un sistema processuale penale estremamente garantista e farraginoso, tutto da rivedere a mio giudizio». Il che potrebbe significare: gli elementi che abbiamo non bastano per far scattare le manette in modo definitivo.
Il pericolo, a questo punto, è quello di assistere a una «Cogne 2».
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