Mosca - Nel mortale avvelenamento radioattivo di Aleksandr Litvinenko c’è lo zampino dei servizi segreti di Sua Maestà e del «diabolico» Berezovski, lui non c’entra, la perfida Albione vuole incastrarlo: Andrei Lugovoi si è lanciato ieri in una spettacolare controffensiva dopo che nei giorni scorsi il Regno Unito lo ha incriminato per il delitto e ne ha chiesto al Cremlino l’estradizione.
«Contro di me e contro la Russia una vera e propria guerra è stata dichiarata sulla stampa occidentale», si è sfogato Lugovoi in una lunga e tortuosa conferenza-stampa a Mosca in cui si è proclamato ancora una volta innocente, si è atteggiato a vittima e ha chiamato in causa i James Bond dell’MI6.
Davvero incredibile la raffica di clamorose “rivelazioni”: a suo dire Litvinenko - uno dei più feroci oppositori del regime Putin, eliminato sei mesi fa a Londra con una massiccia e ultra-micidiale dose di polonio-210 - era al soldo dei servizi segreti britannici e nel 2005 aveva insistito perchè si mettesse anche lui a lavorare per l’MI6. «Mi avevano chiesto di raccogliere informazioni compromettenti sul presidente Vladimir Putin», ha sostenuto Lugovoi, un ex agente del Kgb che negli ultimi anni si è all’improvviso reinventato come businessman di successo mantenendo allo stesso tempo stretti rapporti con l’Fsb, il servizio segreto russo.
Per conto dei servizi segreti britannici Litvinenko gli avrebbe ad un certo punto dato - oltre a grosse somme elargite da una compagnia di intelligence - anche un telefonino speciale, nel quadro di un’operazione per attirare a Londra uno stretto collaboratore di Putin e costringerlo a fornire informazioni «compromettenti» sul suo capo promettendogli in cambio «il silenzio sui suoi conti bancari».
«Io e il mio socio Dmitri Kovtun siamo stati contaminati con il polonio apposta per poterci usare per il successivo scandalo politico», ha sottolineato Lugovoi che si è detto in grado di fornire prove (ieri non esibite) sulle sue affermazioni.
Pur sospettando dell’MI6, che avrebbe eliminato Litvinenko non potendolo più manovrare a piacimento, Lugovoi ha in effetti formulato altre due ipotesi sulla misteriosa vicenda. Non ha escluso che i mandanti possano essere la mafia russa o l’oligarca in esilio a Londra Boris Berezovski (anch’egli dipinto come «un agente dei servizi segreti britannici»).
La mafia potrebbe essersi vendicata per l’aiuto dato da Litvinenko alla polizia iberica per l’inchiesta su un presunto boss di nome Zakhar Kalashov, estradato da Dubai alla Spagna.
Berezovski («maestro dell’intrigo politico») potrebbe aver eliminato l’amico per impedirgli la diffusione di documenti potenzialmente dannosi per il mantenimento del suo status di rifugiato politico in Gran Bretagna o per addossare poi a Putin - suo nemico giurato - la responsabilità del delitto.
«Litvinenko non era un mio nemico. Non ho avuto alcuna parte nella sua morte. Il suo avvelenamento non ha potuto avvenire senza il controllo o la connivenza dei servizi segreti britannici», ha argomentato Lugovoi.
Al Foreign Office la conferenza stampa - rimbalzata in diretta televisiva grazie a Bbc News e Sky News - è stata liquidata con poche, parole: «Per noi è un affare criminale, non una questione di spionaggio. La nostra posizione - ha sottolineato un portavoce - è chiara. Abbiamo richiesto l’ estradizione per Lugovoi per processarlo davanti ad un tribunale del Regno Unito. Aspettiamo una formale risposta da Mosca».
Sprezzante la reazione del «diabolico» Berezovski: «Lugovoi agisce su ordini del Cremlino. Dopo la conferenza stampa di oggi è sempre più chiaro il coinvolgimento del regime di Putin nella vicenda».
Nemmeno Marina, la vedova di Litvinenko, ha preso per buona una sola frase pronunciata da Lugovoi, che non corre il minimo rischio di un ritorno a Londra in catene in quanto la costituzione in vigore a Mosca vieta l’estradizione di cittadini russi: le sue accuse sono solo «disinformazione e provocazione». Lei rimane fermamente convinta che ad ammazzargli il marito sia stato il Cremlino, per eliminare uno dei più fastidiosi e ingombranti oppositori di Putin.
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