«Opportuno» non significa «legittimo»

Paolo Armaroli

Diversi Comuni hanno modificato o si accingono a modificare i loro statuti in guisa da permettere agli immigrati extracomunitari di votare per le circoscrizioni. E soprattutto sul Comune di Torino, guidato dal diessino Chiamparino, si sono accese le luci della ribalta. Se però non si tengono ben distinte due questioni, si finisce per pestare acqua nel mortaio. La prima riguarda l'opportunità e si condensa in questo interrogativo: «Conviene o no concedere questo diritto?». La seconda concerne invece la legittimità e può essere così riassunta: «La codificazione negli statuti comunali è conforme a no alla Costituzione e alle leggi?».
Sulla prima questione le tesi a favore sono tanto rispettabili quanto opinabili e sono esposte non solo da autorevoli esponenti del centrosinistra. A cominciare da Livia Turco, con Napolitano genitrice della legge sull'immigrazione del 1998. Tesi analoghe sono sostenute anche da ministri in carica. Da Fini, secondo il quale la delibera torinese è in linea con la sua iniziativa. Da Tremaglia, a condizione però che i nostri connazionali possano fare altrettanto nei Paesi dove risiedono. Da Buttiglione, per il quale non se ne può fare una guerra di religione. Da Stefania Prestigiacomo, che ha definito «interessante» questa provocazione.
Ma perché sì? Il senatore diessino Walter Vitali sostiene che riconoscere questo diritto «significa promuovere l'allargamento della rappresentanza dei residenti nelle istituzioni locali e renderli partecipi alla vita politica: condizioni che possono risultare decisive per quella assunzione di responsabilità civiche necessaria per la stessa coesione sociale nelle comunità». Del resto prevedono tale diritto molti Paesi europei: dalla Danimarca all'Irlanda, dall'Olanda alla Spagna, dalla Svezia alla Norvegia. Di diverso avviso, all'insegna del meglio soli che male accompagnati, è soprattutto la Lega.
Altra questione è se tali previsioni siano legittime. In un suo parere del 28 luglio 2004 il Consiglio di Stato a determinate condizioni ha sostenuto di sì in base all'argomento che il Testo unico sull'ordinamento degli Enti locali all'articolo 17, comma 4, dice che «gli organi delle circoscrizioni rappresentano le esigenze della popolazione delle circoscrizioni nell'ambito dell'unità del Comune e sono eletti nelle forme stabilite dallo Statuto e dal regolamento». E tra la popolazione - questa la conclusione - vanno compresi anche gli extracomunitari. Sennonché le circoscrizioni non sono delle Repubbliche di San Marino ma articolazioni dei Comuni stessi. Ne consegue che la concessione del voto agli extracomunitari residenti prevista dagli statuti comunali contrasta con svariate disposizioni della Costituzione. Con gli articoli 48 e 51, che conferiscono l'elettorato attivo e passivo ai soli cittadini. Con il nuovo articolo 117 - voluto, ironia del destino, dal centrosinistra - che riserva alla competenza legislativa esclusiva dello Stato materie quali l'immigrazione, la cittadinanza e la legislazione elettorale di Comuni, Province e città metropolitane. Con l'articolo 120, che attribuisce al governo poteri sostitutivi qualora sia messa in gioco l'unità dell'ordinamento. Con lo stesso articolo 3, perché un diritto di voto a macchie di leopardo lederebbe il principio di eguaglianza.
Come al solito, si sta mettendo il carro davanti ai buoi. Quanti si dichiarano oggi favorevoli a una simile soluzione sono gli stessi padri Zappata, dai Ds ad An, che prima hanno presentato alla Camera proposte di legge costituzionale in tal senso e poi le hanno abbandonate all'orfanotrofio. Predicano bene (si fa per dire) e razzolano male.


paoloarmaroli@tin.it

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