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Ora la Cina si vuol prendere tutti gli oceani

Pur non costituendo ancora una vera e propria rivale militare, i movimenti della flotta navale cinese preoccupano sempre di più gli Stati Uniti, che vedono insidiata la loro tradizionale egemonia. Mentre le potenze asiatiche non rimangono a guardare. L'allarme per le mire espansionistiche di Pechino via mare circola già da alcuni anni, ma ieri ad alzarne il livello è stato il New York Times. Citando ufficiali militari americani, il quotidiano avverte: la Marina cinese è sempre più presente in tutti gli Oceani, dal Pacifico all’Oceano Indiano, dallo Stretto di Malacca fino al Golfo Persico.
La strategia, battezzata «difesa nei mari lontani», ha sorpreso le autorità militari straniere per la rapidità con la quale si sta realizzando. Finora la Cina ha seguito una dottrina difensiva delle coste o dalla minaccia rappresentata dai «secessionisti» di Taiwan. Mai uscendo ufficialmente dai propri confini. Quello che viene letto come il «nuovo» piano prevede, invece, navi da guerra a servizio del commercio: una scorta militare ai cargo cinesi - cruciali per l'economia del Paese, primo esportatore mondiale - che viaggiano carichi di merci verso il Golfo Persico e il Sud-Est Asiatico.
In realtà non si tratta nient'altro che dell'evoluzione della dottrina del sea power che guida da sempre il Dragone cinese nel suo boom economico: il controllo del mare come fattore determinante per garantire un commercio florido e quindi prosperità alla nazione. Quello che è cambiato è l'atteggiamento della leadership cinese. Pechino sta portando avanti il suo obiettivo con un'aggressività che le è permessa dall'influenza economica e dalla forza strategica acquisita. In anni di fitto lavoro di «posizionamento», ha messo in piedi quella che gli addetti ai lavori chiamano «collana di perle»: porti e infrastrutture nei cinque Continenti, che legano diversi Paesi alla strategia cinese. Rispetto a 15 anni fa, il Dragone oggi ha molti più interessi da proteggere oltre confine e possiede i mezzi per farlo.
Una Cina più sicura di sé agita gli Stati Uniti. Nell'ultimo anno il mare è stato teatro di ripetuti momenti di tensione tra le due superpotenze. Ne è un esempio il Mar Cinese meridionale, dove le due flotte si sono scontrate quattro volte nel solo 2009, accusandosi reciprocamente di sconfinamento. Considerato una zona economica esclusiva dai cinesi, questo tratto di oceano è in realtà un mare affollato da una serie di isolotti disabitati contesi tra Cina, Filippine, Malaysia, Vietnam, Taiwan e Brunei, e ritenuti ricchi di giacimenti di gas e petrolio. Assetata di risorse energetiche, Pechino ha intensificato la sua presenza nell'area, inviando le proprie navi a pattugliare le isole Spratly e Paracel, ufficialmente per «impedire la pesca illegale».
Responsabili della Marina Usa hanno recentemente avvertito che l'ampliamento della presenza militare cinese negli oceani è «impressionante». Pechino ha sperimentato missili balistici a lungo raggio in grado di colpire aerei nemici e sta mettendo a punto una nuova sofisticata gamma di sottomarini. Alla fine di marzo, ha inviato due navi da guerra nel porto di Abu Dhabi, una prima assoluta negli ultimi decenni, mentre dal 2008 pattuglia il Golfo di Aden contro la pirateria.
Il nuovo atteggiamento della Cina suscita inquietudine anche tra i vicini. A metà aprile navi da guerra cinesi hanno partecipato, per la prima volta, a manovre nei pressi delle acque giapponesi, suscitando l'ira di Tokyo che ora sta ripensando la propria posizione sulla base americana di Okinawa, che la popolazione locale vuole che venga spostata.

L'India, dal canto suo, non protesta ma agisce: l'anno scorso ha varato il suo primo sottomarino nucleare.

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