Benedetto XVI parte questa mattina per il viaggio più importante e delicato del suo pontificato, diretto in Giordania e quindi in Israele e nei Territori palestinesi, mentre si intensificano minacce e proteste da parte di gruppi fondamentalisti. I talebani dall’Afghanistan, dal sito web alemarah1.org, hanno intimato al Papa di «impegnarsi per impedire che le sciocche e irresponsabili azioni dei crociati turbino i sentimenti dei ribelli musulmani», minacciando, in caso contrario, «una severa reazione». Il riferimento è alle immagini trasmesse dalla tv araba Al Jazeera, nelle quali si vedevano soldati americani che tenevano in mano bibbie tradotte in lingua locale.
Critiche a Benedetto XVI arrivano anche dalla Lega degli ulema della Palestina, vicina ad Hamas, che ha chiesto al Pontefice di «rinunciare» a posizioni giudicate ostili rispetto all’Islam. È la prima critica pubblica da parte palestinese espressa alla vigilia della visita. Gli ulema contestano la volontà del Papa di recarsi nei Territori palestinesi e la decisione di alcune alte personalità islamiche di incontrarlo. Accusano Ratzinger di «non aver rinunciato alle sue dichiarazioni e posizioni offensive sull’islam», pur ribadendo «la solidità dei rapporti con i cristiani dei Territori palestinesi». Un’aspra critica nei confronti della visita papale è stata ripetuta ieri anche da Zaki Bani, leader del Fronte di azione islamico della Giordania, che giudica una provocazione la presenza di Ratzinger.
E non ci sono soltanto i fondamentalisti musulmani ad attaccare il Papa. Il sito della rivista «Mondo e missione» ha infatti reso noto che sulla home-page di Arutz Sheva, l’agenzia di informazione dei coloni israeliani, si rilanciano accuse contro Ratzinger, ripetute durante la trasmissione radiofonica «Tamar & Tovia». Benedetto XVI è definito «l’ex giovane nazista» che «viene qui da crociato per chiederci di svendere parte della Terra Santa alla sua Chiesa. Speriamo che il suo aereo non parta»
Al di là delle dichiarazioni ostili, delle minacce a mezzo stampa e dei dileggi, c’è preoccupazione nei sacri palazzi vaticani per questa cruciale trasferta papale. Non tanto per il problema della sicurezza, quanto per la delicatezza e la complessità della situazione. I cristiani, la cui presenza rischia di essere ridotta al lumicino, sono divisi tra di loro e le stesse comunità cattoliche non ritenevano opportuno il pellegrinaggio in questo momento, a pochi mesi dalla guerra di Gaza e dalle polemiche sul caso del vescovo lefebvriano negazionista. Avrebbero preferito vedere prima raggiunti alcuni obiettivi concreti nell’annosa e tuttora inconcludente trattativa con il governo israeliano relativa ai problemi di ordine amministrativo e fiscale che toccano da vicino la quotidiana gestione dei luoghi santi.
Benedetto XVI intende fare un viaggio eminentemente religioso nella terra di Gesù, per confortare innanzitutto la sempre più piccola comunità cristiana. Ma è innegabile che i ben 28 discorsi che pronuncerà avranno ricadute politiche e ogni parola sarà soppesata per evitare strumentalizzazioni da ogni parte. C’è chi teme che il Papa, che ripeterà lo storico gesto di Giovanni Paolo II e infilerà un biglietto (fituk) con una preghiera nel Muro del Pianto chiedendo pace e riconciliazione, finisca per l’apparire troppo sbilanciato a recuperare il rapporto con il mondo ebraico dopo le recenti crisi, finendo però per scontentare i cristiani e più in generale i palestinesi. Proprio per mettere i puntini sulle «i», domenica scorsa Ratzinger ha parlato della sua vicinanza ai cristiani e delle sofferenze del popolo palestinese.
D’altro canto, Benedetto XVI manifesterà tutta la sua riprovazione per il negazionismo, ricordando la Shoah allo Yad Vashem, a pochi passi dal museo dov’è esposta la controversa didascalia su Pio XII.
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