Politica

Ora sale in cattedra Barca Tecnocrate imposto al Pd

Il responsabile della Coesione territoriale è spinto dal gruppo Espresso verso il ticket con Bersani per la leadership. E per molti democrat è lui l’erede di Prodi

Roma - Non siamo noi che non spieghiamo, sono loro che non si applicano. Fabrizio Barca, ministro della Coesione territoriale (il primo della storia repubblicana), giustifica così il deficit di comprensione tra governo e opinione pubblica che stende una patina opaca sui provvedimenti di Monti e soci, intaccandone l’ormai millimetrico consenso.

Questione di feeling, certo. Ma anche di impegno, secondo il ministro. In un’intervista rilasciata alla Stampa Barca - che è una delle rivelazioni del governo Monti, partito in sordina e ora addirittura in odore di candidatura alla premiership in quota Pd, magari in ticket con Pier Luigi Bersani, che per lui manifesta pubblicamente grande stima; e grande passione del gruppo l’Espresso, che lo incensa con ritrattoni vibranti di ammirazione - Barca, dicevamo, si interroga a lungo su quella che definisce la sua principale preoccupazione, vale a dire «lo scarso livello di comprensione di alcuni provvedimenti, per la verità molto incisivi». Ad esempio, «nel pacchetto sviluppo - spiega paziente Barca - c’è un provvedimento che è una sorta di rivoluzione: abbiamo stabilito che in ogni transazione che lo Stato fa con qualunque soggetto - sia esso un consulente, un acquisto o un progetto infrastrutturale - se dopo il primo gennaio non sarà dato conto del beneficiario, della motivazione del trasferimento e delle modalità contrattuali, quella transazione non sarà valida. Questo potrà incidere in maniera radicale sulla degenerazione tra Stato e privati per la grande trasparenza che consentirà». Ebbene, tutta questa pacchia è passata colpevolmente inosservata, secondo il ministro Barca. Ahilui, si parla soltanto di tasse, di Imu, di altre pinzellacchere. E tutto questo a causa degli italiani che non studiano le gesta del governo e dei giornali (e ti pareva) che non fanno bene il loro lavoro, utilizzando, bacchetta Barca, «la modalità delle schede riassuntive degli interventi che spesso hanno un tono un po’ apodittico, come se il mondo fosse cambiato da quelle norme e non dai comportamenti delle persone e dunque dalla attuazione delle leggi». Cari direttori e capiredattori, prendete nota please.

Per carità, a guardar bene un po’ di autocritica si scova, nelle parole di Barca: «Dopodiché, certo, anche il governo deve saper comunicare», concede lui. Ma è un peccato veniale, un mal comune della politica tradizionale, che soffre della «straordinaria difficoltà che i partiti hanno nell’intrattenere un rapporto diretto con i cittadini: nel corso del tempo le loro organizzazioni si sono fatte liquide». E così è più facile seguire la corrente, grazie alla «tendenza ad accomodare la critica generale, ad assecondarla secondo una modalità semplice, a volte anche scontata». E in tutto ciò il povero governo Monti è come il signor Malaussène dei romanzi di Daniel Pennac, quello che di professione fa il capro espiatorio: «Siamo stati messi lì proprio perché sul governo si scaricassero le responsabilità, finendo per accreditarci tutte le cose che non vanno e in qualche caso non riconoscendoci quelle positive». L’Italia ringrazi.

Barca è solo l’ultimo membro del governo dei tecnici a salire in cattedra per bacchettare gli italiani, per spiegare con aria sussiegosa perché loro lì a Palazzo Chigi fanno quello che fanno e perché noi, meschini, non siamo in grado di percepire il genio di alcuni provvedimenti. Lo hanno fatto, in preda a una socievolezza vagamente isterica in contrasto con la reticenza dei primi mesi della gestione Monti, lo stesso premier e poi Elsa Fornero, Corrado Passera, Andrea Riccardi.

E ora Barca: 58 anni, torinese ma con una passione per il Sud al punto di essersi meritato al momento della nomina a ministro il biasimo del triumviro leghista Roberto Calderoli, figlio di Luciano, economista comunista che fu anche direttore dell’Unità, a sua volta economista e capo della divisione ricerca di Bankitalia, a lungo direttore generale del ministero dell’Economia, Barca per molti a sinistra (e in particolare all’Espresso e a Repubblica) è il possibile erede di Prodi, un tecnico grigio ma stimato capace di colmare il difetto di leadership che da sempre affligge il Pd.

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