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«Orchestrion» di Pat Metheny è un capolavoro rinascimentale

MilanoTanto per capirci, Pat Metheny è un musicista senza confini. Vabbè, lo si sa da trent’anni almeno: chitarrista specialmente jazz, qualche volta fusion, soprattutto libero, ha una band ma suona anche da solista, si accoppia (musicalmente) con chiunque e riesce sempre a tenere vivissimo il suo profilo. Stavolta ha fatto di più: lo ha modificato. Da one man band è diventato semplicemente una band. Lui. Da solo. Nel cd Orchestrion suona tutti gli strumenti, dalla chitarra alle marimba alle batterie e ad almeno una dozzina di altre stramberie come tante bottiglie contenenti diversi livelli di liquidi, creando un suono che lui stesso definisce «il frutto di un nuovo media, un nuovo modo di esprimersi». Più che un nuovo modo, è il modo più sognato del mondo dai musicisti: fare tutto da soli. Ci aveva provato, e lo ricorda anche Metheny, già Stevie Wonder in Music of my mind del 1972 e molti altri hanno qui e là provato ad emularlo. Ma queste cinque nuove canzoni, da Entry point a Spirit of the air, sono frutto di un tentativo rinascimentale di fusione del genio e della macchina, un esperimento quasi leonardesco perché, oltretutto, portato avanti con l’entusiasmo di un ragazzino. Intanto Orchestrion è assai complicato, un jazz spesso improvvisato e lucidamente contorto, roba che, lo conferma lui stesso, «ci vogliono almeno quattro o cinque ascolti per capire che cosa stia succedendo». E poi sarà riproposto tale e quale, anzi arricchito da qualche imprevedibile improvvisazione, anche durante i concerti (il 24 febbraio debutto a Bolzano, il 15 marzo sarà allo Smeraldo di Milano). Perciò immaginatevi Pat Metheny su di un palco a gestire tutto questo bendiddio, aiutato semplicemente dal talento umano e da un software disumano che ha un unico limite: non può suonare strumenti ad arco. «In fondo in Orchestrion - spiega lui - ci sono gli stessi strumenti delle orchestre di un secolo fa. L’unica eccezione sono gli strumenti a penna, ossia chitarre e basso». Ma c’è di più. Qui la tecnologia è protagonista però se ne sta buona buona perché a comandare sono l’intuito e trentacinque anni di carriera e milioni di ore di concerti, esperienze, invenzioni musicali. Perciò Orchestrion è un album che fa paura tant’è bello perché è distante anni luce da qualsiasi cosa oggi vinca in classifica o si ascolti nelle radio eppure risulta così fresco, giovane, persino modaiolo.

Lui, che ha cinquantasei anni solo sulla carta d’identità, dice che Orchestrion è solo «un’altra stanza nella casa della mia musica». Sarà. Ma è una stanza nuova che s’illumina per la prima volta, e con luce abbagliante.

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