Gli ordini di De Benedetti irritano la sinistra

Il leader della Margherita: sono opinioni personali

Laura Cesaretti

Nostro inviato a Firenze

«Cari compagni, care compagne», esordisce il candidato premier alla conferenza programmatica dei Ds. Ormai per Prodi è diventata un’abitudine, quella di salutare così ogni volta che interviene a una kermesse diessina. È sempre stata una captatio benevolentiae, ma oggi ha molto più il sapore di una scelta di campo, di un reciproco coprirsi le spalle fra il candidato premier senza partito e il partito più forte della sua coalizione. Insieme alla Margherita, ovvio, ma di quella Prodi si fida molto meno, tanto più dopo aver letto ieri il Corriere della Sera e l’intervista con cui Carlo De Benedetti - se non fosse stato chiaro il messaggio inviato dal convegno della Margherita due giorni fa sulla necessità di un «ricambio generazionale» - è tornato alla carica. Prodi? Sarà solo «l’amministratore straordinario» di un Paese in difficoltà. Ed è meglio che eviti di provare a fare il leader politico: «Spero che si occuperà più di governare che di organizzare la politica». Quanto ai disegni di grande respiro, «ci vorranno tempi lunghi non compatibili con chi appartiene alla mia generazione». Ergo, non compatibili con Prodi. Il disegno di grande respiro è quel «partito democratico che o nasce nella prossima legislatura o non nasce più». E che va affidato non certo a Prodi, neppure ai capi diessini Fassino e D’Alema, ma a un «giovane intelligente e moderno» nonché «ottimo sindaco» come Veltroni, e ancor meglio a Rutelli (che «nel 2001 fu una sorpresa per tutti», non certo per De Benedetti che lo aveva indicato, e che «prese più voti di Prodi nel ’96»), senza la cui dinamica Margherita «i Ds oggi sarebbero più conservatori». La mazzata debenedettiana all’assetto attuale del centrosinistra è andata a segno. Anche se con l’editore di Repubblica il candidato premier ha fatto buon viso a cattivo gioco, come racconta il fratello nonché senatore Ds Franco Debenedetti: «L’ho chiamato dopo l’intervento di Prodi e gli ho detto: “Carlo hai fatto arrabbiare Romano” “Come è possibile? Pensa che Prodi mi ha chiamato proprio stamattina per dirmi che condivideva in pieno l’intervista”». Quale sia l’origine della ruggine fra De Benedetti e Prodi il senatore non lo dice ma sottolinea: «Carlo è abrasivo ma dimentica in fretta. Prodi è suadente ma ricorda tutto».
Dal palco della conferenza Ds, il leader dell’Ulivo risponde per le rime: amministratore straordinario? «Accetto volentieri l’aggettivo perché la situazione è straordinaria, ma non il sostantivo. Non perché non mi piaccia amministrare, ma perché bisogna cominciare a usare per la politica il linguaggio della politica, non quello aziendale. Serve un governo con grande forza politica, l’ho chiesta a voi e le primarie l’hanno confermata».
I due chiamati in causa, Rutelli e Veltroni, cercano di defilarsi. Quelle di De Benedetti sono opinioni personali, dice il primo, e in Italia «abbiamo libertà di espressione e la rispetto». Per il resto, «il nostro investimento su Prodi è chiarissimo», e l’età non conta, «come dimostra Ciampi: si può essere grandi leader a 70 anni e insipidi a 30». Veltroni liquida l’ipotesi di ticket: «Ma quale ticket, io sono per abolirli anche dal sistema sanitario». E nel suo intervento a Firenze il sindaco di Roma non nomina neppure il Partito democratico, ma parla diplomaticamente di un «soggetto riformista da costruire di cui abbiamo parlato nel nostro congresso». Tutti insieme e d’accordo. Per costruirlo e gestirlo, rassicura Rutelli, è in pista anche Fassino, che ha «pieno diritto di esserci».
Quanto a D’Alema, il presidente Ds liquida ferocemente De Benedetti appaiandolo al suo (ex?) nemico storico Berlusconi: «Deve finire la lunga stagione dell’antipolitica. Sostituire alla politica il modello di impresa è un’ipotesi che è stata colpita a morte: il budino lo abbiamo mangiato, ed è risultato incommestibile». Poi più tardi dirà: «Di De Benedetti non ho parlato, non ho voluto polemizzare con nessuno e ognuno può dire ciò che vuole». In campo deve tornare la politica di un centrosinistra in grado di offrire alternativa a Berlusconi, a dispetto di quei «giornali amici e non (leggi Repubblica e Corriere della Sera, ndr) che stanno tentando di demolirla». A D’Alema è piaciuto il discorso che Prodi è venuto a fare ai Ds, quel riconoscimento pieno, come spiega Roberto Barbieri, «della necessità di autonomia della politica, anche contro i pericoli di tentazioni tecnocratiche» che molti intravedono dietro l’affondo di De Benedetti. Ed è piaciuta quell’offerta di alleanza piena e reciproco riconoscimento fatta da Prodi alla Quercia e ai suoi leader, con la promessa di un «rapporto forte fra governo e partiti, senza chiusure istituzionali» (qualcuno traduce: con pieno diritto di ingresso dei leader Ds nell’esecutivo), dice Peppino Caldarola che alla «goffa uscita di De Benedetti Prodi ha replicato prendendo atto che il tempo delle incursioni in casa nostra è finito.

Ha capito che qui dentro c’è il rinnovato orgoglio di un partito». Come spiega D’Alema: «Siamo una forza politica autonoma che si sceglie i suoi leader sul campo». E non li lascia certo nominare dall’editore di Repubblica.

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