Cultura e Spettacoli

Oscar, i cineasti litigano per la giuria

Michele Anselmi

da Roma

Come volevasi dimostrare. È già polemica sulla supercommissione (15 esperti, ieri portati a 17, quasi tutti produttori, più gli oscarizzati Bertolucci, Ferretti e Cerami) incaricata di designare per conto dell'Anica il film italiano da spedire all'Academy awards in vista dell'Oscar. Nell'anticiparne la composizione, martedì, il Giornale aveva avvisato in un elemento del titolo: «Alcuni membri dovranno pronunciarsi su opere che hanno ispirato o prodotto». Per dire che era ravvisabile un conflitto di interessi, almeno per quattro dei commissari, cioè i produttori Riccardo Tozzi (La bestia nel cuore, diretto dalla moglie Cristina Comencini), Aurelio De Laurentiis (Manuale d'amore), Tilde Corsi (Cuore sacro) e Domenico Procacci (Le conseguenze dell'amore). La faccenda deve essere parsa insopportabile a Roberto Faenza, il quale, intervenendo ieri mattina alla trasmissione Viva voce, su Radio 24, ha sparato a zero. Così: «Mi sembra molto di più di un conflitto di interessi, è concorrenza sleale. Spero che la Guardia di finanza faccia delle intercettazioni, come nei concorsi universitari, per scoprire veramente il marcio che s'annida in una commissione così composta». Un attacco durissimo, in parte ammorbidito in serata, con queste parole: «Uno sfogo forse troppo impetuoso, ma certamente ironico e paradossale. È un’anomalia che andava comunque rilevata, al di là dei toni da me espressi». Faenza è regista dei Giorni dell'abbandono, uno dei titoli che legittimamente ambiscono a essere designati per rappresentare l'Italia, se prescelti, nella categoria «il miglior film straniero». S'era sparsa la voce che avesse l'intenzione di ritirarlo dalla gara. Medusa, che l'ha prodotto, invece conferma, attraverso la voce del suo amministratore delegato, Giampaolo Letta: «Per quanto mi riguarda, il film partecipa a tutti gli effetti. La sortita di Faenza m'è parsa pesante, anche un po' infelice, ma non si può negare il problema che pone. Il conflitto di interessi esiste. Proprio per questo, per allontanare il benché minimo sospetto, noi di Medusa, d'accordo con i colleghi di Raicinema, ci siamo ben guardati dal partecipare alla commissione».
Va a finire che era meglio il vecchio sistema, quando a decidere erano i mille giurati del Premio David di Donatello. Solo che quest'anno l'Anica aveva, legittimamente, deciso di riprendere in mano la questione per approdare a una designazione finalmente in grado di strappare una nomination (è dal 1998, dall'exploit di La vita è bella, che i film italiani vengono rispediti al mittente). Evidentemente Aurelio De Laurentiis, artefice della scelta, in sé ragionevole, non aveva fatto i conti con il solito mix di veleni e sospetti che agita il nostro cinema italiano in materia di Oscar. Argomenta Roberto Cicutto, uno dei famosi esperti pescati nelle file dell'Api (Autori e produttori indipendenti) e dell'Unpf (Unione nazionale produttori film): «Diciamo la verità, siccome siamo in pochissimi a fare questo lavoro, è quasi inevitabile la presenza in commissione di almeno un produttore che abbia anche un film in corsa». La pensa così anche Riccardo Tozzi, altro commissario nonché produttore di quel La bestia nel cuore dato per favorito: «Preferivo l'altro sistema, più democratico e rappresentativo. Detto questo, non capisco proprio Faenza. La sua è un'uscita scomposta, cattiva. Che c'entra la Guardia di finanza? Mancava che evocasse il Kgb e la Gestapo». Nel merito, il produttore, meditando di ritirare il film, spiega: «L'idea originaria era di intavolare una discussione tecnica per arrivare ad una designazione unanime. Non è possibile? Torniamo ai mille giurati del David. Ma stiamo attenti, perché appena l'Academy sente puzza di bruciato, e noi italiano siamo speciali nel fare casino, cassa il film».
In serata, all'Anica, i produttori pro commissione si sono riuniti per stilare un comunicato ufficiale di risposta al j'accuse di Faenza. Dove si legge: «La designazione del film dovrà avvenire con una votazione che vede almeno i 4/5 dei giurati esprimersi con un voto palese per uno specifico titolo. Ciò affinché la designazione non possa avvenire sulla base di una minima maggioranza di voti con il voto determinante di chi potrebbe avere un interesse specifico per un determinato titolo. Un metodo qualificato e serio, lontano da beghe, dietrologie o insinuazioni, che le associazioni respingono con fermezza».

La prosa non sarà delle migliori, ma il concetto è chiaro. Basterà a placare i furori di Faenza?

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