Cultura e Spettacoli

Ostinata come una mula alla battaglia dei sessi

Carattere fermo, i colleghi parlamentari la chiamavano «signora Polesine». Sopportò stoicamente il confino in Sardegna e rese più femminile la Costituzione

Nella zona veneta del bacino del Po la chiamavano sia «Madonna pellegrina» sia «Mussa del strassaro», ossia mula dello straccivendolo. Questo per indicare che faceva sì «miracoli» per i polesani, ma che li otteneva con la pazienza e la fatica dell’ostinato quadrupede. La Nostra infatti sembrava sedere in Parlamento esclusivamente per occuparsi dei problemi delle popolazioni rivierasche continuamente in balìa dei capricci del Grande fiume.
«Ecco il Polesine!», esclamavano i suoi colleghi quando entrava a Palazzo Madama, anziché «Buongiorno senatrice» o «Ciao Angelina». Un’ironia solo apparentemente affettuosa, poiché la signora stava sulle scatole a molti per il carattere fermo e il fare diretto. Comunque, grazie alla sua caparbietà, Angelina ottenne nei tre lustri in cui fu senatrice cospicui finanziamenti dello Stato per alleviare i disagi di rodigini e chioggiotti che, nei primi anni ’50, si trovavano il fiume in casa pressoché a ogni inverno.
Nata a Pozzonovo in quel di Padova, la Nostra aveva debuttato in politica già grandicella, a 33 anni, quando si iscrisse nel 1920 al partito socialista. Aveva vissuto sulla propria pelle la Grande guerra, con due fratelli morti in combattimento, uno dei quali medaglia d’oro. Si era laureata e, dopo un soggiorno a Grenoble, aveva preso l’abilitazione di francese che insegnava nelle scuole. Fu «per lenire le angosce umane», come scrisse nell’autobiografia, che decise di entrare in politica. Ci arrivò col fascismo alle porte e, quando trionfò, venne subito ai ferri corti col regime nella campagna elettorale del ’24. Fu lei a fornire al compagno di partito, Giacomo Matteotti, molti dei dati sulle intimidazioni squadriste che il deputato denunciò nel celebre discorso alla Camera che gli costò la vita. Pagò pure lei il suo coraggio con cinque anni di confino in Sardegna.
Insegnava nelle scuole rurali dell’isola sottoposta a continue vessazioni. Fu sballottata qua e là nei villaggi più impervi, Dorgali, Orune, Isili. Finché il prefetto di Nuoro, mosso a pietà, le consigliò di scrivere al Duce «una breve lettera chiedendo semplicemente di essere liberata». Angelina rifiutò dicendo: «Vi sono tanti uomini che hanno dimenticato la dignità. So e sento di poterli scusare. Ma è bene che essi sappiano che in mezzo a tanti uomini che hanno poco coraggio, vi è una donna che ne ha per sé e per loro».
Terminata la punizione, Angelina si stabilì a Milano e riprese a combattere clandestinamente il regime. Sconcertata dall’ignavia socialista, si avvicinò ai comunisti. Ma quando costoro le offrirono la tessera, replicò: «Sarei una pessima comunista. Non sopporto la soggezione, voglio ragionare e discutere». Sposò Dante Gallani, uno dei fondatori del Psi, e tale fu il suo rispetto per lui che gli dette sempre del «voi». L’uomo morì tre anni appena dopo le nozze. Angelina non si risposò e nel mezzo secolo in cui ancora visse rivestì ostentatamente il ruolo della vedova suscitando boccaccesche malignità.
Nel dopoguerra, fu tra le cinque donne della Commissione dei 75 incaricata di scrivere la Costituzione repubblicana. Ottenne di togliere dai documenti di identità l’annotazione umiliante N.N. per i figli illegittimi. Così come impose di inserire nell’articolo 3 della Carta le parole «senza distinzione di sesso» al paragrafo sull’eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge.
Angelina fu una femminista combattiva e concreta. Marito a parte, non stimava un granché gli uomini, come abbiamo visto. Prese invece molto a cuore i destini delle donne. Lo dimostrò, una volta eletta deputata, poi senatrice, liberandone tremila da una particolare schiavitù. Il provvedimento subì un decennio di insabbiamenti prima di essere approvato. Lo osteggiarono le destre in nome della tradizione e le sinistre giudicandolo antiproletario. «Danneggia i meno abbienti - fu la tesi socialcomunista - ... mentre i ricchi hanno i loro piéd à terre e dispongono di alberghi... dove andranno gli operai, gli studenti e i soldati che non dispongono di molto denaro?». «Si arrangino», fu la risposta della senatrice che aggiunse un’argomentazione che oggi suonerebbe anti Pacs: «Lo Stato presiede già all’inanellarsi delle generazioni con l’istituzione del matrimonio... non ha il compito di regolare altri rapporti sessuali. Ognuno se la sbrighi come crede».
Angelina vinse la sua battaglia, ma cadde in disgrazia. Nel ’61 uscì dal Psi e passò al gruppo misto. Non fu ricandidata e lasciò la politica. Morì a 92 anni in un istituto di suore.

L’Avanti!, quotidiano del Psi, non le dedicò una riga.
Chi era?

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