«La pace è un valore per cui si può sacrificare la vita»

Il vescovo di San Marino ricorda che l’Italia non ha approvato la guerra ma ha accettato di partecipare alla ricostruzione

Andrea Tornielli

«Quella che è in atto non è uno scontro di civiltà ma una battaglia tra la civiltà e la barbarie. I soldati caduti a Nassirya testimoniano che esistono dei valori per difendere i quali si può sacrificare anche la vita. La pace è uno di questi». Non ha dubbi monsignor Luigi Negri, vescovo di San Marino e Montefeltro.
Che significato ha la morte dei carabinieri di Nassirya?
«Il loro sacrificio ha una duplice radice. La prima è universale e loro in qualche modo assurgono a testimoni di valori che valgono più della vita. La pace e il sacrificio per la pace ha cementato la storia e lo sviluppo delle civiltà: questo è, tra l’altro, l’unico caso di “guerra giusta” preso in considerazione dalla dottrina sociale della Chiesa. L’altra radice è il fatto che questi uomini volevano bene al popolo iracheno, volevano aiutarlo a raggiungere la pace e ci hanno insegnato che si può voler bene anche a persone culturalmente molto distanti da noi».
Qual è il suo giudizio sulla guerra in Irak?
«Ciò che ho detto sul sacrificio del nostri soldati per la pace non pretende certo di esaurire tutta la vastità del giudizio sulla guerra. Vorrei ricordare la contrarietà espressa con tenacia fino all’ultimo da Giovanni Paolo II, che invitava a non muovere guerra all’Irak. Quella posizione in merito allo sciagurato conflitto mi sembra si stia verificando ogni giorno più pertinente. Vorrei ricordare anche che il nostro Paese, non ha partecipato alla guerra e non l’ha approvata, ma ha accettato di contribuire alla ricostruzione e alla rappacificazione dell’Irak dopo l’intervento armato. I nostri soldati non sono truppe d’occupazione».
Crede che sia in atto, in Irak come più in generale nella contrapposizione tra Occidente e mondo islamico, uno scontro di civiltà?
«Non è uno scontro di civiltà, ma una battaglia tra la civiltà e la barbarie incarnata dal terrorismo nichilista. La Chiesa ha oggi un compito fondamentale nel coagulare attorno a sé quanti non accettano questa violenza intollerante. E non penso soltanto alla situazione irakena ma anche a quanti, qui in Italia, portano la discriminazione e la violenza anche fisica nei confronti di chi non è allineato alle proprie posizioni ideologiche. Ogni riferimento ai fatti del 25 aprile a Milano è voluto».
Posso chiederle come giudica la situazione italiana dopo il voto?
«C’è lo scontro rilevabile sul piano della scelta politico-partitica, c’è un disagio che si colora qua e là in maniera preoccupante con fenomeni di intolleranza sociale e civile che fanno venire in mente gli anni bui del terrorismo. Ma c’è un esigenza più profonda, altrettanto presente: è una domanda di cultura. La nostra gente vuole vivere seriamente e coerentemente nei valori in cui crede. E vuole potersi educare in questi valori. La politica, se ci tiene al confronto vivo con la realtà sociale (che è cosa diversa dai centri sociali), deve tener presente queste esigente espresse dal popolo».


Che cosa significa in concreto tutto questo?
«Di fronte a un Paese spaccato la politica non deve esaurirsi in giochi di alchimie ed essere avulsa dalle esigenze reali del popolo che vengono a galla continuamente. Ad esempio non si dovrebbe pretendere di legiferare in maniera diretta su quei valori che Benedetto XVI ha definito “non negoziabili” nel suo discorso ai parlamentari europei del Ppe».

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