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Pagamenti a Roma, pm spiazzati: non spetta a Napoli indagare

Dalle carte emerge che tutti i versamenti di denaro sono avvenuti nella Capitale: è la prova che Woodcock & Co non hanno la competenza territoriale sull’inchiesta. Le somme versate non sono abnormi: tra i 5 e i 10mila euro. I documenti dimostrano i prelievi di denaro dai conti correnti del premier

Pagamenti a Roma, pm spiazzati:  
non spetta a Napoli indagare

Gian Marco Chiocci - Simone Di Meo

Cinque pagine per smentire l’accusa di estorsione e ribadire che i soldi, frutto di un atto di generosità nei confronti di una famiglia ridotta sul lastrico, sono stati consegnati a Roma. E dunque i pm non sono competenti a indagare e a interrogarlo. Eccola la memoria presentata da Silvio Berlusconi alla Procura partenopea impegnata a trovare riscontri sui presunti ricatti ai suoi danni orchestrati, per gli inquirenti, da Valter Lavitola (latitante), Gianpaolo Tarantini (detenuto a Poggioreale) e sua moglie Angela Devenuto (ai domiciliari).

Come anticipato dal Giornale, la ricostruzione dei fatti offerta dal premier mina alle fondamenta la supposta competenza territoriale della Procura partenopea, motivata dal gip sulla base del risibile principio di connessione. Per il giudice Amelia Primavera poiché uno degli indagati di questo fascicolo – Valter Lavitola – è sott’inchiesta in altri due procedimenti radicati a Napoli (P4 e Finmeccanica), l’ufficio giudiziario del capoluogo campano può mantenere la titolarità anche di questa indagine, anche se – particolare non da poco – Tarantini non è indagato né per la P4 né per Finmeccanica, e così pure sua moglie. Un’interpretazione giudiziaria, quella del giudice delle indagini preliminari, superata dalla giurisprudenza in materia, dall’esatta scansione temporale delle intercettazioni, dal racconto del premier (presunto estorto), di Tarantini (presunto estorsore) e degli avvocati.

Il documento del Cavaliere ripercorre la vicenda fin dal principio e, di fatto, rende del tutto superflua anche la convocazione davanti ai magistrati che, ancora ieri, ne hanno chiesto l’audizione in qualità di testimone. La memoria si sofferma, infatti, sulla natura delle «dazioni» di denaro, sui tempi e sulle modalità di consegna e, soprattutto, sul luogo dove i soldi sono stati ritirati, di volta in volta, da Tarantini o da Lavitola. Su questo, il premier è stato estremamente chiaro: tutto si è svolto a Palazzo Grazioli, non altrove. Quindi, l’inchiesta deve passare a Roma. Napoli non ci azzecca niente. Quanto, invece, alla provenienza del denaro, Berlusconi ha chiarito (qualora ce ne fosse stato bisogno) di aver attinto a provviste finanziarie proprie, custodite presso la sua abitazione per esigenze personali. Somme infinitamente inferiori a quelle ipotizzate dall’accusa, tra i 5 e i 10mila euro.

Quella del premier è una ricostruzione dei fatti che collima, in tutto, con le acquisizioni (recenti e meno) già in possesso dei magistrati, a seguito di interrogatori e trascrizioni di intercettazioni telefoniche, e che demolisce anche la tesi della violazione della normativa antiriciclaggio, visto che Berlusconi si dice pronto a documentare, carte alla mano, i prelievi di contante dai suoi conti correnti.

Ma i pm non mollano la presa e, nel respingere la richiesta di Ghedini di ascoltare il Cavaliere non secondo la formula di «persona informata dei fatti» (quindi, senza l’assistenza dell’avvocato), ma come indagato in un procedimento connesso (il Rubygate, condotto dalla Procura di Milano), hanno deciso di programmare altri interrogatori nei prossimi giorni.

Almeno, finché il Riesame non deciderà di sradicare il fascicolo da Napoli e di passarlo a Roma.

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