Pakistan, ora Al Qaida punta a rovesciare il governo Musharraf

Massimo Introvigne

Per ora solo i gruppi separatisti del Kashmir indiano che fanno parte della rete di Al Qaida invitano esplicitamente ad approfittare del dopo-terremoto in Pakistan per rovesciare il governo filo-americano del generale Musharraf. Le due grandi forze di opposizione islamica - il movimento deobandi, che si esprime nel partito Jamiyyat-i Ulama-i Islam (JUI), e i fondamentalisti della Jama’at-i Islami (JI), la seconda grande «casa madre» del fondamentalismo mondiale insieme ai Fratelli Musulmani egiziani - parlano di castigo di Allah per i peccati del presidente e del governo ma promettono tregua e collaborazione per la ricostruzione. Gli ultra-tradizionalisti Tabligh, che non si occupano di politica, invitano piuttosto alla preghiera.
Il Pakistan è un caso di scuola che illustra le differenze fra tradizionalismo e fondamentalismo islamici. Sia i tradizionalisti sia i fondamentalisti rifiutano la modernità e l’Occidente, ma il tradizionalismo si concentra sulla difesa della moralità, specialmente sessuale, mentre il fondamentalismo parte dalla politica e ritiene che anche i problemi morali saranno risolti una volta instaurato uno Stato dichiaratamente islamico.
In Pakistan il movimento più diffuso è quello ultra-tradizionalista dei Tabligh: ha milioni di seguaci, e il suo raduno annuale è la più grande riunione di musulmani mondiali dopo il pellegrinaggio alla Mecca. Finora i Tabligh si sono tenuti completamente al di fuori della politica, a differenza dei deobandi, tradizionalisti il cui nome deriva dalla città di Deoband, in India, sede di un centro di studi islamici tra i più importanti del mondo. Sono la versione indo-pakistana del movimento detto «wahhabita» dell’Arabia Saudita: rigoristi, puritani, ma anche relativamente leali ai poteri costituiti. In Pakistan i deobandi, insoddisfatti sia del governo sia dell’opposizione fondamentalista - né l’uno né l’altra, secondo loro, sufficientemente attivi nel contrastare la decadenza morale - hanno costituito un partito, JUI, che in caso di elezioni democratiche è accreditato di un venti per cento dei voti. Altrettanti potrebbero forse raccoglierne i fondamentalisti della JI.
Grazie al muftì Nizamuddan Shamzai, ucciso - probabilmente da Al Qaida - nel maggio 2004, JUI e JI hanno formato un cartello anti-Musharraf. Entrambi anti-americani, deobandi e fondamentalisti sono divisi dal giudizio sulla minoranza sciita, che per i deobandi è eretica e non musulmana mentre per molti fondamentalisti va coinvolta nella lotta per uno Stato islamico.
JUI e JI considerano quella per il ritorno del Kashmir indiano al Pakistan una guerra santa, ma sono molto riservati nei confronti della principale formazione terroristica della zona, Harkatu l-Mujahedin, di cui disapprovano i legami con Al Qaida. Né i deobandi né i fondamentalisti vogliono ripetere l’errore dei talebani afghani (i cui leader avevano tutti studiato in scuole deobandi in Pakistan) e allearsi con Bin Laden, di cui diffidano. Nel clima convulso del dopo-terremoto le contraddizioni fra JI e JUI, e fra il cartello JI-JUI e Al Qaida, potrebbero esplodere, favorendo la permanenza al potere di Musharraf.

O al contrario - è l’ipotesi peggiore - tutti i nemici del generale e dell’Occidente, eccitati dai predicatori che insistono sul terremoto come castigo di Allah, potrebbero allearsi per sostituire l'attuale dittatura militare con uno Stato islamico, rimandando a una fase successiva il regolamento dei reciproci conti.

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