Palenzona: «Abertis-Atlantia è ancora una ipotesi valida»

«Credevo fosse una cosa buona allora e sono convinto che lo sarebbe ancora oggi. Ma se mi chiede se stanno trattando non mi risulta assolutamente».
Fabrizio Palenzona, consigliere di Mediobanca e presidente di Aiscat, ritiene ancora valido il progetto di fusione tra Atlantia e Abertis, ma «non sono assolutamente al corrente di colloqui in corso». Palenzona ha parlato a Firenze, a margine di un convegno, riferendosi al progetto di fusione Abertis-Atlantia, a maggioranza spagnola, bocciato nel 2006 dal governo di centrosinistra guidato da Romano Prodi. Nei giorni scorsi si era parlato di un nuovo progetto dell’azionista di controllo di Atlantia, la famiglia Benetton, con la consulenza di Mediobanca. In sostanza il gruppo italiano e quello spagnolo, che coinvolgerebbe Gemina e forse anche Impregilo, penserebbe sì alla fusione, ma a maggioranza italiana. Secondo le stesse fonti, il successo del nuovo progetto potrebbe dipendere però dalla partita che si sta giocando sul futuro di Telecom Italia, controllata dalla holding Telco in cui figura come primo socio singolo Telefonica e accreditato di un interesse per le due quote dell’11,6% di Telco in mano alle banche italiane: Intesa SanPaolo e Mediobanca.
Il gruppo di Ponzano Veneto, intanto, ha fatto sapere di «non aver avviato alcuna iniziativa o conferito mandati finalizzati a un progetto di fusione tra Atlantia, Gemina e Abertis». Del resto anche gli spagnoli di Abertis sostengono di «non avere alcun interesse a confluire in un gruppo controllato dagli italiani». Secondo altre fonti, alcuni soci di Abertis avrebbero la necessità di fare cassa.
Stando così le cose, tra notizie filtrate e smentite, la riapertura del dossier non dovrebbe essere pura fantasia. Un’autorevole fonte finanziaria, infatti, avrebbe detto all’agenzia Reuters: «Un fondo di verità nella storia del dossier Atlantia-Abertis c’è, anche perché i contatti ci sono sempre stati, ma la storia di un’integrazione di Gemina in Atlantia per ora non esiste».


Ci sarebbe infine un altro aspetto, più verosimile: la voglia delle banche italiane presenti in Telco di dismettere i panni dell’azionista non solo per la performance deludente del titolo, ma anche per il timore di dover essere presto chiamate a un aumento di capitale.

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