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Palestina, una storia d’amore scatena la caccia al cristiano

Una musulmana fidanzata con un «infedele» resta incinta e i genitori l’avvelenano. Scatta poi la vendetta: assalto al villaggio «crociato»

Gian Micalessin

Taibeh è il nome d'una birra. Birra Taibeh, la prima e l'unica di tutta Palestina. La birra distillata nel solo villaggio interamente cattolico di tutta Cisgiordania. Ma Taibeh e le sue 1.500 anime a est di Ramallah sono famosi anche per altro. Quel nome in arabo significa gentilezza. Ad appiccicarglielo fu Saladino, il conquistatore di Gerusalemme, stupito dalla cordialità dei suoi abitanti.
Prima era Ephraim, il villaggio sperduto dove vissero Gesù e gli apostoli prima di scendere a Gerusalemme. Da domenica Taibeh è sinonimo d'odio e guerra religiosa. I segni sono tutti lì. Tredici case bruciate, le strade devastate, una statua della Madonna fatta a pezzi. Una domenica di violenza e, nei cuori degli abitanti, la paura di una nuova guerra di religione, di una nuova persecuzione. Una guerra contro i cristiani di Palestina, una persecuzione contro gli ultimi non musulmani. Il tutto sotto gli occhi indifferenti dell'Autorità nazionale palestinese.
Dietro le razzie e gli incendi, dietro le urla di chi pretendeva un unico grande rogo per «infedeli e crociati», c'è una storia ancora peggiore. Nel cimitero di quel villaggio musulmano di Deir Jreer da dove sono arrivati i vandali c'è una tomba senza nome. Lei, là sotto, non aveva l'età per morire. Hiyam Ajai aveva trent'anni e l'unica colpa d'amare un ragazzo cristiano. L'aveva incontrato sul lavoro, nella sartoria dei genitori di lui, due anni fa. Aveva alzato gli occhi da filo e matassa e aveva visto Mehdi Kouriyee. Un cognome importante, quello di Mehdi. Lo stesso dei proprietari della fabbrica di birra. Lo stesso di tutte le famiglie importanti di Taibeh.
Ma ciò che conta a Taibeh non vale nulla dieci chilometri più in là, tra le mura di Deir Jreer. Hiyam lo sa, ma al cuore non si comanda. Va tutto bene fino a quando lei non torna a casa con un pancione di sei mesi. Allora le voci diventano vergogna. Suo padre la colpisce. Sua madre chiude la porta. Giorni di liti a finestre chiuse e alla fine, giovedì, dalla casa di Deir Jreer, esce il cadavere di Hiyam. Non ha segni. Non ha le terribili lesioni delle altre trenta ragazze martoriate lo scorso anno per ragioni simili nel resto della Cisgiordania. Hiyam è stata semplicemente avvelenata. «Uccisa dai cristiani», raccontano a Deir Jreer.
Poi la famiglia cambia versione. «Quel cristiano l'ha violentata e lei s'è avvelenata», mentono madre e padre senza una lacrima. La polizia palestinese fa esumare il corpo e Deir Jreer grida al complotto. I più assatanati convocano gli amici, chiedono vendetta. Quando sabato sera arrivano a Taibeh sono già in guerra. «Avevano bastoni e taniche di kerosene. Prima sono andati da Mehdi. Volevano uccidere anche lui - racconta il cugino Suleiman Khouriyye - ma Mehdi e i genitori eran scappati da giorni. Così gli hanno bruciato e distrutto la casa. Poi sono andati avanti a razziare e dare alle fiamme la mia e tutte le abitazioni dei suoi parenti. Siamo in tredici famiglie senza più nulla».
Ma la rabbia più grande per gli abitanti di Taibah è l'indifferenza dell'Autorità nazionale palestinese. «Le voci giravano da giorni: si sapeva che volevano punirci perché siamo cristiani e siamo un bersaglio facile - racconta un altro Khouriyye senza più casa - ma nessuno ha fatto niente. I primi poliziotti sono arrivati solo domenica mattina. Hanno salvato la fabbrica della birra, ma il resto era già stato distrutto». Ora i poliziotti perlustrano le strade e il presidente palestinese ha ordinato un rapporto sull'accaduto.
Per i cristiani palestinesi è solo un altro capitolo della catena di violenze iniziata con la seconda intifada. Tre anni fa nella zona di Betlemme due ragazze cristiane vennero rapite, torturate e uccise perché accusate di prostituirsi da uomini vicini all'Anp. Poi l'autopsia dimostrò che erano vergini.

Un anno dopo un'altra ragazza della loro stessa famiglia venne violentata da quattro miliziani di Fatah.

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