Cultura e Spettacoli

Paoli: "Il successo è solo un incidente"

Per festeggiare mezzo secolo di musica il cantautore pubblica domani il cd Storie. "Non mi lamento e non rimpiango nulla, vorrebbe dire rinnegare ciò che ho vissuto"

Paoli: "Il successo è solo un incidente"

Roma - Lui parla, discute e intanto si tormenta le dita della mano sinistra: Gino Paoli, perché ha tre fedi matrimoniali? «Ho avuto tre mogli e sono uno che non rinnega: rinnegare il passato significa negare ciò che hai vissuto». A furia di vivere, Gino Paoli nel 2009 festeggia cinquant’anni di carriera da quando era un cantante di balera con Tenco e Lauzi e non aveva ancora inciso La gatta. Quella canzone è la didascalia della sua vita: quando fu pubblicata, vendette solo 119 copie, una miseria, e ci volle un po’ di tempo prima che si trasformasse in un successo che sopravvive ancora oggi. Seduto nei camerini dell’Auditorium, c’è il Gino Paoli che in cinquant’anni ha semplicemente fatto così, si è preso del tempo per farsi capire e ha cantato pure qualche capolavoro: «Convivo bene con i miei brani famosi», dice lui sicuro. Dopo aver cantato l’amore, adesso canta la vita e nello splendido cd Storie, che esce domani, ci sono dodici racconti che la sua voce accarezza, e talvolta schiaffeggia, in uno dei suoi album più belli degli ultimi anni, placido e intenso e così, alla fine, luminoso di poesia dell’anima.

Gino Paoli come si riassumono cinquant’anni?
«Così: non mi sono mai accontentato».

Lo dicono quasi tutti.
«Ma io letteralmente. Una volta alla Bussola il pubblico voleva che cantassi i miei successi, io invece ho cantato un brano di Brel: ma sentivo mugugni e disapprovazione. Allora ho intonato Il cielo in una stanza e poi ho mandati tutti a quel paese. In sala c’erano gli Agnelli, i Mondadori. Il padrone della Bussola, Bernardini, mi disse: sei un matto».

Nel nuovo cd c’è un brano molto duro, “Il pettirosso”: la storia della violenza sessuale di un vecchio su una bambina.
«Poi subito dopo la violenza il vecchio muore e la bambina prova per lui quella pietas che è in tutti noi».

Ma lui è un mostro.
«Il mostro è un uomo che non sa cosa è bene e cosa è male».

Bel giudizio.
«Nel giudicare spesso c’è troppa superficialità, l’importanza sta nel capire. Io non sono un etico, sono un estetico».

Un estetico di sinistra.
«Non credo più nella distinzione destra-sinistra: credo nel senso dello Stato. Lo Stato è solidarietà: deve garantire salute, energia, eccetera. E lo deve garantire gratis. Non penso che un operaio debba guadagnare di più».

Questa è una novità.
«La vita dovrebbe costare di meno».

Guarda la tv?
«Solo Fox Crime e History Channel. Mediaset aveva avuto l’idea giusta: una rete per ciascun target di pubblico. Italia 1 ai giovani, Rete 4 ai vecchi, Canale 5 l’ammiraglia autorevole. Adesso si è perso per strada anche questo».

Sanremo è della Rai. Lei sarà padrino di Malika Ayane.
«Ci vado perché è bravissima e per la sua discografica, Caterina Caselli. Quando la vidi per la prima volta, qui a Roma, suonava il basso e cantava in un locale. Dissi: quella ha talento. Io so riconoscere il talento delle persone e poi, se riesco, le aiuto a sfondare. Ma non ci ho mai guadagnato. Mai preso una lira da Zucchero o dalla Vanoni».

È il potere snob di chi ha avuto successo: non farsi pagare.
«Il successo è un incidente. Tutti i giovani che mi vengono a cercare, mi dicono: “Voglio aver successo”. Ho sempre fatto pesca subacquea e il pesce è come il successo: arriva se non lo cerchi».

Spesso si ha il pudore del successo. Specialmente per un artista eletto deputato nel Pci.
«Intanto è cambiata la politica, non io. Io resto sempre uguale».

Qualche suo collega cantautore no. C’è chi non è mai stato comunista e chi si è convertito alla fede cristiana.
«Questa è la legge del branco. Non faccio parte del branco».

A Genova ci sono slogan antireligiosi sui pullman di linea.
«Io non sono ateo, sono agnostico. Di certo preferisco la Chiesa di Giovanni XXIII che quella di Benedetto XVI».

Tra Obama e Veltroni chi sceglierebbe?
«Obama è una speranza.

Veltroni lasciamolo stare, poverino: è come sparare sulla Croce rossa».

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