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Papa: "Vogliono portarmi in ceppi al processo soltanto per punirmi e per umiliarmi"

Il parlamentare del Pdl dal carcere di Poggioreale: "Io marcisco qui dentro. I black bloc che hanno devastato Roma invece non li vedremo mai dietro le sbarre". In cella dalla fine di luglio ha perso 20 chili

Papa: "Vogliono portarmi in ceppi al processo 
soltanto per punirmi e per umiliarmi"

Venti chili in meno. Barba lunghissima. Un occhio semichiuso. Trascina le parole e il corpo stanco, Alfonso Papa. Il deputato arrestato nell’inchiesta P4 si presenta ai parlamentari del Pdl Cicchitto, Quagliariello e Laboccetta piombati a Poggioreale per sincerarsi delle sue condizioni di salute. Il morale a terra, la voce appena percettibile. Una sola certezza: «Vogliono umiliarmi oltre il dovuto – dice Papa - e farmi arrivare al 26 ottobre, al processo, in ceppi, dietro le sbarre, come una bestia allo zoo». Quel che segue rappresenta una sintesi dei pensieri che Papa e Laboccetta, per come ce li riporta quest’ultimo, si sono scambiati ieri e nella visita precedente, senza contare i numerosi contatti epistolari di cui il Giornale ha preso visione.

Come sta onorevole?
(Un filo di voce, racconta Laboccetta). «Non bene. È una tortura, il tempo non passa mai. Marcisco qua dentro e quelli lì (indica la tv con le immagini dei black bloc che hanno devastato Roma, ndr) in galera non ce li vedremo mai. Tiro avanti pensando a mia moglie e ai miei figli. Trovo conforto nella fede e nelle lettere che ricevo. Una, bellissima, è del regista Pupi Avanti a cui non importa nulla dell’inchiesta o dei motivi che mi hanno portato qui, ma è scritta col cuore, per infondere coraggio, un invito a non mollare e ad avere completamente fede in Dio».

Il processo si avvicina.

«Così potrò difendermi e dimostrare quanto la verità sia lontana da quella ipotizzata dall’accusa e purtroppo recepita da una parte maggioritaria dell’aula. Vegeto con cinque persone in una cella di cinque metri quando anche i muri sanno che non posso più inquinare le prove, fuggire o reiterare il reato. Vogliono punirmi per non aver detto ciò che evidentemente vogliono sentirsi dire. Altrimenti il procuratore Lepore, a cui ho chiesto ripetutamente un incontro non fidandomi dei pm, avrebbe trovato cinque minuti per le mie ragioni. E poi, non essendo decaduto dalla carica di parlamentare, nel limite di una situazione problematica, vorrei continuare a fare il mio lavoro».

E come, scusi?
«Il presidente della Camera sa bene, ma finge di non saperlo, che Alfonso Papa è ancora un parlamentare, tant’è che il mio nome viene calcolato, ad esempio, quando si danno i numeri sul quorum da raggiungere. Non capisco perché, allora, Papa non può avere contezza, ad esempio, dei resoconti parlamentari, delle attività ispettive, del bollettino della Camera e quant’altro. Fini finge di ignorare tutto ciò, nonostante i solleciti da me inoltrati».

Si è parlato di alcuni messaggi, in codice, che lei avrebbe mandato all’esterno.
«Non è vero niente. Dico sempre quello che penso ad alta voce».

Il 26 ottobre inizierà il processo. Come pensa andrà a finire?
«Finirà con un’assoluzione piena perché il fatto non sussiste. Non ho commesso alcun reato. Piuttosto quando la mia innocenza verrà dimostrata, chi risarcirà me e la mia famiglia di questo incredibile accanimento? Chi pagherà per tanta sofferenza? Questo calvario della carcerazione preventiva è un’indecenza per uno Stato democratico. Qui a Poggioreale, dove i detenuti in attesa di giudizio sono la stragrande maggioranza, ho trovato una solidarietà che fuori da queste mura te la sogni. E un’esperienza che mi ha segnato ma che mi obbliga, una volta assolto, a occuparmi a tempo pieno delle carceri italiane».

Una battaglia sacrosanta combattuta però, in straordinaria solitudine, dai radicali.
«Dovrei avercela con loro che hanno contribuito a spedirmi dove ora mi trovo. Però devo dire che su questo tema, le carceri, sono totalmente dalla loro parte.

Una volta fuori, spero il prima possibile, mi batterò per dare dignità a tutti i detenuti, i definitivi ma soprattutto i tantissimi in attesa di un giudizio che, di media, non arriverà in tempo o se arriverà li vedrà assolti».

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