Venti chili in meno. Barba lunghissima. Un occhio semichiuso. Trascina le parole e il corpo stanco, Alfonso Papa. Il deputato arrestato nell’inchiesta P4 si presenta ai parlamentari del Pdl Cicchitto, Quagliariello e Laboccetta piombati a Poggioreale per sincerarsi delle sue condizioni di salute. Il morale a terra, la voce appena percettibile. Una sola certezza: «Vogliono umiliarmi oltre il dovuto – dice Papa - e farmi arrivare al 26 ottobre, al processo, in ceppi, dietro le sbarre, come una bestia allo zoo». Quel che segue rappresenta una sintesi dei pensieri che Papa e Laboccetta, per come ce li riporta quest’ultimo, si sono scambiati ieri e nella visita precedente, senza contare i numerosi contatti epistolari di cui il Giornale ha preso visione.
Come sta onorevole?
(Un filo di voce, racconta Laboccetta). «Non bene. È una tortura, il tempo non passa mai. Marcisco qua dentro e quelli lì (indica la tv con le immagini dei black bloc che hanno devastato Roma, ndr) in galera non ce li vedremo mai. Tiro avanti pensando a mia moglie e ai miei figli. Trovo conforto nella fede e nelle lettere che ricevo. Una, bellissima, è del regista Pupi Avanti a cui non importa nulla dell’inchiesta o dei motivi che mi hanno portato qui, ma è scritta col cuore, per infondere coraggio, un invito a non mollare e ad avere completamente fede in Dio».
Il processo si avvicina.
«Così potrò difendermi e dimostrare quanto la verità sia lontana da quella ipotizzata dall’accusa e purtroppo recepita da una parte maggioritaria dell’aula. Vegeto con cinque persone in una cella di cinque metri quando anche i muri sanno che non posso più inquinare le prove, fuggire o reiterare il reato. Vogliono punirmi per non aver detto ciò che evidentemente vogliono sentirsi dire. Altrimenti il procuratore Lepore, a cui ho chiesto ripetutamente un incontro non fidandomi dei pm, avrebbe trovato cinque minuti per le mie ragioni. E poi, non essendo decaduto dalla carica di parlamentare, nel limite di una situazione problematica, vorrei continuare a fare il mio lavoro».
E come, scusi?
«Il presidente della Camera sa bene, ma finge di non saperlo, che Alfonso Papa è ancora un parlamentare, tant’è che il mio nome viene calcolato, ad esempio, quando si danno i numeri sul quorum da raggiungere. Non capisco perché, allora, Papa non può avere contezza, ad esempio, dei resoconti parlamentari, delle attività ispettive, del bollettino della Camera e quant’altro. Fini finge di ignorare tutto ciò, nonostante i solleciti da me inoltrati».
Si è parlato di alcuni messaggi, in codice, che lei avrebbe mandato all’esterno.
«Non è vero niente. Dico sempre quello che penso ad alta voce».
Il 26 ottobre inizierà il processo. Come pensa andrà a finire?
«Finirà con un’assoluzione piena perché il fatto non sussiste. Non ho commesso alcun reato. Piuttosto quando la mia innocenza verrà dimostrata, chi risarcirà me e la mia famiglia di questo incredibile accanimento? Chi pagherà per tanta sofferenza? Questo calvario della carcerazione preventiva è un’indecenza per uno Stato democratico. Qui a Poggioreale, dove i detenuti in attesa di giudizio sono la stragrande maggioranza, ho trovato una solidarietà che fuori da queste mura te la sogni. E un’esperienza che mi ha segnato ma che mi obbliga, una volta assolto, a occuparmi a tempo pieno delle carceri italiane».
Una battaglia sacrosanta combattuta però, in straordinaria solitudine, dai radicali.
«Dovrei avercela con loro che hanno contribuito a spedirmi dove ora mi trovo. Però devo dire che su questo tema, le carceri, sono totalmente dalla loro parte.
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