 
Ogni volta che chiediamo qualcosa a ChatGPT è come se tenessimo accesa una lampadina per venti minuti. Un clic che sembra innocuo, ma moltiplicato per miliardi di richieste quotidiane nel mondo diventa un ronzio energetico planetario. È il nuovo "paradosso energetico dell'AI": usare enormi quantità di energia per capire come ridurre il consumo di energia. Nel 2021 Boston Consulting prevedeva che l'intelligenza artificiale ci avrebbe aiutato a tagliare le emissioni che alterano il clima abbattendole fino al 5-10% entro il 2030. Tre anni dopo, il bilancio è più contraddittorio. Nel solo 2024 i data center dedicati all'AI hanno divorato 415 terawattora (TWh) di elettricità, pari all'1,5% del fabbisogno mondiale.
Con una previsione neanche a lunghissima scadenza (stiamo parlando del 2035) di arrivare a 1.720 TWh: più di quanto consumi oggi il Giappone intero. In pratica il 400 per cento in più in 10 anni. Per dare un'idea - sottolineata da Agostino Scornajenchi, amministratore delegato di Snam - i soli data center nell'area di Milano richiederebbero tanta potenza da equivalere a cinque centrali nucleari su modello di quelle francesi. Negli Stati Uniti, nei prossimi cinque anni, serviranno 55 gigawatt di nuova capacità elettrica solo per alimentare i server che addestrano e fanno girare i modelli di AI. Insomma, la macchina che dovrebbe salvare il pianeta rischia di fondere i fusibili prima ancora di riuscirci.
La risposta dell'AI a se stessa
La domanda dunque sta proprio lì e si accavalla un po' su se stessa: come ridurre l'impatto dell'energia necessaria a capire come ridurre l'impatto dell'energia? Il cane che si morde la coda, per farla semplice. E per farla ancora più semplice abbiamo chiesto alle macchine come risolvere il problema che esse stesse creano. E abbiamo girato all'Ai la domanda.
La risposta che ci ha dato gioca su due fronti: quello "endogeno", ovvero ciò che riguarda tecnologie e uso dell'AI e quello "esogeno", ovvero l'energia che alimenta l'Ai. Sul fronte endogeno che si muove dentro il mondo digitale, la parola chiave è efficienza. Senza scendere troppo nel complesso tecnicismo, si tratta di modelli più leggeri, algoritmi compressi, chip specializzati con hardware sostenibili e data center con un raffreddamento più efficiente.
E poi le buone pratiche: usare l'intelligenza artificiale solo quando serve davvero. Una chat inutile può sembrare innocua, ma milioni di richieste inutili non lo sono affatto. Tutto questo può bastare? Evidentemente no, gli incrementi dei consumi sono fuori scala. Servono misure strutturali, anche sel'AI questo non lo sottolinea. Sul fronte "esogeno", invece, l'AI punta dritto alle rinnovabili. Sole, vento e acqua, certo, ma con un problema: non sono sempre disponibili. Il sole tramonta, il vento cala, e l'idroelettrico dipende dalla pioggia che, si sa, non va a comando. Nel frattempo, l'80% dell'energia mondiale (il 70% nella verde Europa) continua a venire dai combustibili fossili. Nel 2024 le rinnovabili hanno coperto appena il 38% della nuova domanda globale: il resto è arrivato per lo più da gas naturale (28%), carbone (15%), petrolio (11%) e un pizzico di nucleare (8%).
Un bagno di realtà (e un po' di gas)
Le grandi tech stanno studiando mini-reattori nucleari domestici, ma tra burocrazia, opposizioni e tempi di costruzione rischiamo di arrivare a fine partita con il pallone in mano. Serve quindi una soluzione ponte. Ed ecco perchè c'è chi la intravede nel gas.
È la fonte fossile più pulita (emette il 30% in meno di CO2 del petrolio e il 50% in meno del carbone) e, soprattutto, è programmabile: fornisce elettricità anche quando le rinnovabili non possono. Nel 2025 la produzione termoelettrica a gas in Europa è cresciuta del 7%, garantendo continuità industriale e occupazionale. E il gas può diventare ancora più verde. Sulle stesse infrastrutture possono viaggiare biometano e idrogeno verde (anche se è ancora molto costoso). In Italia sono già 150 i punti in cui il biometano viene immesso in rete, con un'impennata dei contratti di allacciamento alla rete di 10 volte in 4 anni. Ancora non basta ma la strada è giusta. In alcune infrastrutture del gas persino la CO2 viene catturata e stoccata nei giacimenti esauriti grazie alla tecnologia CCS (Carbon Capture and Storage). Nel mondo sono già attivi 77 impianti di cattura, il 54% in più in un anno. E in fase di sviluppo ci sono altri 734 progetti.
Un equilibrio da inventare
Sul gas resta il nodo della produzione: i giacimenti tradizionali invecchiano, quelli cosiddetti di shale gas e offshore hanno vita breve, e il 90% degli investimenti serve solo a compensarne il declino. Senza nuovi progetti, ogni anno perderemmo l'equivalente della produzione combinata di Brasile e Norvegia. Tutto questo a fronte di una domanda globale di gas in aumento: quest'anno i consumi sono già saliti del 2% e nel computo complessivo mancano ancora due mesi freddi. Eppure, senza gas almeno per ora l'AI rischia di restare al buio.
La vera sfida non è solo alimentare l'intelligenza artificiale, ma farlo in modo intelligente: evitare che la soluzione diventi parte del problema rilanciando gli investimenti nel settore. Perché se anche un prompt può valere una lampadina accesa per venti minuti, il futuro dell'energia dipenderà da come sapremo alimentarla e, al momento giusto, spegnerla.