Il Parlamento di Teheran si ribella anche i falchi contro Ahmadinejad

L’assemblea approva una mozione che sfiducia le sue ultime decisioni. E il nuovo negoziatore iraniano a Roma ribadisce: «La nostra politica nucleare non cambia»

Il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad non dorme più sonni tranquilli. Ha vinto la battaglia con il detestato negoziatore Alì Larijani, l’ha costretto alle dimissioni, ha mandato a Roma a incontrare Javier Solana il responsabile della politica estera della Ue, il fedelissimo sottosegretario agli Esteri Saeed Jalili. Eppure qualcosa lo rode dentro. Sarà la sensazione di una trappola incombente. Sarà la mossa di 183 parlamentari ultraconservatori, che lunedì hanno approfittato del suo viaggio in Armenia per votare una mozione in cui elogiano le capacità di Alì Larijani e i brillanti risultati dall’ex negoziatore nella trattativa nucleare.
Un voto suggellato da critiche ancora più dure ed esplicite. Il deputato Heshmatollah Falahatpisheh gli rimprovera la «calamità di continue dimissioni e sostituzioni diventate politica ufficiale del governo». Mohammad Reza Bahonar, autorevole esponente del Parlamento, loda invece l’«autorevole figura di Larijani» e accusa il presidente di averlo messo alla porta. Le critiche e il voto d’implicita sfiducia sembrano innescare le peggiori paure del presidente. Così ieri mattina Ahmadinejad sospende la visita, saluta il presidente armeno Robert Kocharian e corre a Teheran per seguire gli sviluppi della situazione interna e i negoziati di Roma. «Tra poco scatterà una campagna di duri attacchi al nostro Paese», avrebbe detto Ahmadinejad a Kocharian.
Da Roma in verità potevano arrivare poche sorprese. L’ubbidiente Saeed Jalili, interpretando al meglio le parole del presidente, aveva preannunciato un atteggiamento ancor più duro sul negoziato. Cioè non ha tenuto in conto le profferte di Javier Solana. Del resto per i «duri» del nucleare iraniano non c’è molto da discutere. Il rappresentante della politica estera europea, incaricato di negoziare per conto dei membri permanenti del Consiglio di sicurezza e della Germania, non ha grandi novità da offrire. È arrivato a Villa Panfili con lo stesso dossier di proposte e incentivi offerti sei mesi fa a Larijani in cambio della sospensione dell’arricchimento sull’uranio. Se non li ha accettati il più disponibile Larijani, perché dovrebbe farlo questo 42enne ex pasdaran tornato senza una gamba dall’Irak? Se Saeed Jalili è una garanzia di fedeltà radicale, non altrettanto si può dire della delegazione che l’accompagna. Dietro Jalili, c’è ancora lo sconfitto Alì Larijani. Sarà lì per offrire consigli, come ripetono le fonti ufficiali, o perché Alì Khamenei, Guida suprema e massima autorità spirituale della Repubblica islamica, è pentito di aver dato corda al presidente? A dar corpo alla seconda ipotesi contribuiscono le dichiarazioni di Alì Akbar Velayati. «Vista la delicatezza della questione nucleare sarebbe stato meglio impedire le dimissioni o almeno prevenirle», dice l’ex ministro, consigliere della Guida suprema per le questioni internazionali. Le sue parole sembrano esprimere lo scontento di Alì Khamenei per la situazione creatasi ai vertici della diplomazia. Scontento che sarebbe il primo segnale del trappolone teso al presidente. Lasciandogli mano libera sul nucleare, sarà facile rimproverargli eventuali fallimenti. Soprattutto se il Consiglio di sicurezza voterà nuove sanzioni.


Tempi duri, insomma, per un presidente che in soli due anni, come dimostra un sondaggio ufficiale, è riuscito a scontentare grandi protettori, alleati politici e semplici elettori: secondo un sondaggio, solo il 53% dei suoi elettori oggi rivoterebbe per lui.

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