Cultura e Spettacoli

«Parole parole parole» È sempre il testo la chiave del successo

Eccolo lì il tormentone, il brano senza pretese che alla faccia della qualità musicale ti si piazza in testa alla classifica e non ti esce più dalla testa. Dunque tormentone uguale porcheria? Anzi, il tormentone, ormai sinonimo di successo, è - come il denaro per la merce - moneta di scambio per le nostre emozioni. Lo dimostra Peter Szendy (filosofo e professore dell’Università di Parigi) nell’impegnativo e divertente saggio Tormentoni! La filosofia nel juke box. Che credete, il tormentone ha origini nobili; fu Boris Vian nel 1957 a scrivere Le Tube (in francese infatti è detto «tube») per Henri Salvador il cui testo recita: «Ecco gli ingredienti per fare un successo/ Una strada un marciapiede una tipa ben carrozzata/ Un tipo, maglione nero e brillantina sui capelli». Vian disse poi argutamente: «Tenuto conto della moda e di un editore deciso a giocare alla canzone come alla Borsa, è possibile creare di ogni brano, a freddo, un hit».
Ma come mai questo hit «senza qualità, o meglio la cui massima qualità consiste nel non averne troppa», si chiede Szendy, entra nel mito? Perché lancia messaggi semplici, di cose leggere in cui tutti si identificano. Così Szendy, con ironia, eleva la canzone al rango di oggetto filosofico e dedica un capitolo a Parole parole parole, il «capolavoro dei tormentoni» di Alberto Lupo e Mina, replicato con pari efficacia da Dalida e Alain Delon.
Ci sono anche i Rolling Stones di Satisfaction in questa bizzarra categoria, e qui Szendy diventa causticamente provocatorio. «I Can’t Get No Satisfaction». Chi è che si lamenta di non essere mai soddisfatto? Non Jagger, ma il tormentone stesso che dice «non potrò mai trovare soddisfazione finché qualcuno parla per me». Uniti dallo stesso spirito, i tormentoni hanno diverse tipologie. Essendo «merce di scambio» destinata a far soldi, spesso parlano di denaro come Money di Michael Jackson (un ritornello che martella «Qualsiasi cosa per il denaro»), una prassi nata con Money Honey dei Drifters (ripresa da Elvis), Money Money Money degli Abba e Money dei Pink Floyd. C’è anche il tormentone serio, quello che diventa un inno e viene pure censurato - come Imagine di Lennon o What a Wonderful World di Louis Armstrong - o Georgia On My Mind di Ray Charles, inno ufficiale della Georgia e allora le cose si complicano. Cosa lega allora i Righeira di Vamos a la playa e Imagine di John Lennon? Nulla, perbacco; o forse il fatto che i due brani azzerano il tempo, come dice Szendy: «il tormentone capitalizza il tempo vissuto per meglio reinvestirlo sul mercato». E sottrae anche noi al passare del tempo; quando commemora «la sua fedeltà al tutto o al niente», noi siamo lì ad attendere il suo eterno ritorno.

Musichette da nulla? Come disse Fellini: «Se alla fine della nostra vita ci fosse concesso di dire qualcosa, se fossimo davvero sinceri canteremmo una canzonetta come riassunto di un’esistenza».

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