Parte l'assalto al Giornale Così la procura di Milano vuole arrestare le notizie

L’articolo del Giornale sul processo a luci rosse che coinvolse la Boccassini negli anni Ottanta scatena l’ira di Bruti Liberati

Parte l'assalto al Giornale 
Così la procura di Milano  
vuole arrestare le notizie

Milano - Chi in quel giorno si trovava a passare al quarto piano del Palazzo di giustizia, racconta che le grida di Ilda Boccassini si sentivano da un capo all’altro del lungo corridoio: «Le famiglie non si toccano!». Era la mattina in cui Il Giornale aveva pubblicato la notizia di un suo presunto intervento in difesa del figlio, fermato dopo una rissa in discoteca. Già in quella occasione, la dottoressa dai capelli rossi aveva chiesto che il suo capo, Edmondo Bruti Liberati, scendesse pubblicamente in campo al suo fianco. Ieri, sempre sul Giornale, una seconda puntata: le carte del procedimento disciplinare cui Ilda Boccassini venne sottoposta negli anni Ottanta per i suoi rapporti con un giornalista del quotidiano Lotta Continua. Anche ieri, il procuratore aggiunto reagisce malissimo. E stavolta ottiene che il procuratore Bruti Liberati rompa gli indugi.
Quello che ne esce è un comunicato di asprezza senza precedenti, nella carriera di Bruti Liberati come capo della Procura milanese: una paginetta scarsa, che fa pesantemente irruzione sulla ribalta dell’inchiesta della Procura milanese su Silvio Berlusconi e il «Rubygate». Bruti attacca frontalmente - anche senza nominarlo, ma evidentemente non ce n’è bisogno - il Giornale. Nel foglio distribuito ai cronisti dallo staff di Bruti si legge: «Ogni attività della magistratura - e dunque anche quella della Procura della Repubblica di Milano - in un ordinamento democratico è soggetta alla valutazione e alla critica della libera stampa», premette il procuratore. Ma aggiunge: «Le campagne di denigrazione e l’attacco personale ai magistrati si qualificano da soli e, in un sistema di civile convivenza, devono essere un problema per chi ne è autore e non per chi ne è vittima».
Non c’è sul tavolo solo la «questione Boccassini». Chi ha avuto modo ieri di parlare con i vertici della Procura milanese racconta che a spingere per un intervento pubblico era stato anche un altro articolo pubblicato dal Giornale, quello che ricostruiva alcuni insuccessi professionali di un altro protagonista dell’indagine, il procuratore aggiunto Pietro Forno. Fino a ieri mattina, Bruti aveva frenato. Il procuratore si rende conto di muoversi su un terreno delicato: quello della libertà di stampa e della libertà di critica, un terreno dove non è facile individuare confini precisi, e dove il rischio di invocare censure è sempre in agguato. Ma di fronte alle due pagine dedicate ieri da questo quotidiano a Ilda Boccassini, Bruti ritiene che il limite sia stato superato. E, chiuso nel suo ufficio, scrive il comunicato in difesa dei suoi pm.
Il procuratore non entra nel merito di quanto riportato dal Giornale. Ma, stando a fonti attendibili, starebbe preparando una seconda mossa, stavolta sul piano giudiziario. La Procura milanese avrebbe infatti intenzione di denunciare ai colleghi della Procura di Brescia, competenti per territorio, i giornalisti del Giornale autori degli articoli di ieri sul «caso Boccassini», nonchè del direttore responsabile Alessandro Sallusti. Motivo: gli atti pubblicati fanno parte di un fascicolo della sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura. È ben vero che oggi le sedute della «disciplinare» sono pubbliche, tant’è vero che vengono persino trasmessi in diretta da Radio Radicale. Ma fino al 1985 si trattava di sedute a porte chiuse. E poiché il procedimento a carico di Ilda Boccassini risale al 1982, cronisti e direttore del Giornale avrebbero commesso il reato di pubblicazione di atti coperti da segreto.
Il comunicato contro il Giornale fornisce a Bruti Liberati l’occasione anche per mettere in chiaro un altro punto importante: il procuratore fa sapere di condividere in pieno le mosse dei tre magistrati che conducono le indagini (oltre alla Boccassini e Forno, il pm Antonio Sangermano). Bruti, anzi, rivendica la paternità della guida complessiva dell’inchiesta «di cui il procuratore della Repubblica ha assunto personalmente il coordinamento e conseguentemente la piena responsabilità».

È probabile che anche questa parte della dichiarazione sia stata, più o meno esplicitamente, chiesta a Bruti dai suoi collaboratori, dopo che l’assenza della firma del capo su alcuni atti dell’indagine era stata interpretata da alcuni come una presa di distanza. Invece no, fa sapere Bruti: in questo clima da scontro finale, farò la mia parte fino in fondo con i miei pm.

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