Dopo il pamphlet di Alesina e Giavazzi secondo cui «Il liberismo è di sinistra», eccone un altro dal titolo Il partito democratico per la rivoluzione liberale di Michele Salvati, questo quasi un manifesto per la sinistra. Salvati da anni afferma la necessità di un «partito democratico», dunque gli va riconosciuta coerenza e chiarezza, non certo ambiguità. Ci si permetta però di dire che in questultimo pamphlet egli sostiene una palese contraddizione, una antinomia innegabile, una cosa proprio impossibile. Come un partito della sinistra possa dar luogo a una rivoluzione liberale è la più incredibile delle enunciazioni. Chi qui scrive non è un estremista e da sempre nelle polemiche evita toni forti, preferendo la civiltà del confronto, ma in questo caso la tesi di Salvati proprio non è possibile accettarla neppure come semplice ipotesi. Non siamo solo noi a pensarla così, il dubbio è venuto anche a osservatori tuttaltro che malevoli verso Salvati. Dario Di Vico, firma autorevole, che alla tesi di Salvati ha dedicato unintera pagina del Corriere di venerdì scorso, si chiede: «Ma si può dalla pancia del Partito democratico (dove Salvati è collocato, ndr) proporre una ricetta liberale?».
Subito dopo, sabato, sullo stesso Corriere, Ernesto Galli della Loggia scrive: «Chi lavrebbe detto che (il programma della Thatcher, ndr) sarebbe diventato lultimo grido della più scaltra e aggiornata intellighenzia del nostro Paese... Mi chiedo se non gli sia venuto in mente che il sintomo più evidente della crisi storica della sinistra, della sua fine intellettuale, stia proprio nel fatto che ormai, per tenersi politicamente in piedi, essa non riesce a pensare più nulla di suo, ma può solo rincorrere, riciclandole, alle idee e ai programmi dei suoi avversari». Potremmo finire qui, non si potrebbe dire di meglio. Siamo davvero in presenza di un caso che difficilmente può essere classificato come una sgrammaticatura in buona fede. Salvati è docente universitario di economia politica, scrive su giornali autorevoli, dunque la sua affermazione, o speranza che sia, non può sfuggire al sospetto che sia appositamente costruita e enunciata, ed è chiaro a quale scopo. Non penso neppure di contestargli la sua ovvia militanza politica o almeno un certo feeling, che rispetto, ma da liberale gli confuto quella che senza alcun dubbio appare una contraffazione che un uomo di indubbia cultura non è lecito si conceda. Si dirà: ma è diritto del Salvati di sperare in un partito che affidi la sua identità ad una visione liberale del mondo. Certo che lo è, figuriamoci se proprio noi gli neghiamo questo diritto. Ma quel che proprio non è possibile è che egli pensi e sostenga che il cosiddetto Partito democratico, che la sinistra italiana sta promuovendo, realizzi una rivoluzione liberale.
Lo ripeto: un uomo certamente intelligente, dotto ed esperto qual è il Salvati non può davvero credere che un simile prodotto politico (un mix di ex comunisti, ex democristiani, ex socialisti e chissà quanti altri ex, comunque non certo liberali né ieri né oggi) sia o possa essere quel che egli pensa e spera. Una sinistra moderna, nella quale egli evidentemente crede e noi stessi speriamo che si realizzi in Italia, tutto potrà essere meno che organicamente liberale. Sennò - siamo obiettivi - che sinistra sarebbe? Tesi come quelle di Salvati possono essere accettate solo da liberali che abbiano rinunciato alla propria identità culturale e politica.
Di questo pamphlet, opinabilissimo, va citato il finale dellultimo capitolo, dal quale affiora almeno qualche apprezzabile dubbio: «... sarebbe una iattura se, per salvare il bipolarismo, dovessimo rivolgere alla sinistra radicale la famosa frase che il poeta latino rivolgeva alla sua amante: nec tecum, nec sine te (né con te, né senza di te). Sarebbe sicuro presagio di sconfitta ed equivarrebbe ad ammettere che una sinistra riformista non ha spazio politico nel nostro Paese».
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