Roma - Certo, il primo test elettorale vero per il Partito democratico, le europee del 2009, è per fortuna ancora molto lontano. Certo, chi conosce i numeri dei sondaggi che circolano si affretta ad esorcizzarli: i voti si verificano nelle urne, quelli virtuali non contano.
E però quei numeri ci sono, vengono ansiosamente compulsati ogni settimana, e registrano un dato di fatto inconfutabile: il trend è negativo. Molto. Il calo è costante, l’ultimo rilevamento in possesso del Botteghino, e ovviamente segreto, «fa impressione», come confida chi l’ha visto. Tra il 23 e il 21 per cento, un record da brivido. Quasi dieci punti in meno di quanto il listone unitario Quercia-Dl era riuscito a prendere un anno fa. E tutto questo ad appena un mese dai congressi di Ds e Margherita e dal loro indubitabile impatto mediatico, che per qualche giorno aveva risollevato lo spirito dei dirigenti ulivisti e i numeri dei sondaggi.
Dal giorno dopo, però, è iniziata quella che il ds Cuperlo definisce «la Babele delle voci»: risse sulla leadership, scontri su tutti i temi in discussione (dai Dico all’Ici), per arrivare al fuoco d’artificio finale, l’appassionante dibattito a colpi di interviste sul coordinatore del Partito democratico.
Ieri Piero Fassino, il candidato ombra, si è tirato fuori dalla partita, con una lettera aperta a Prodi. Dai toni molto aspri: basta «veline e veleni» sparsi attraverso «cronache giornalistiche», e dai quali «non può venire nulla di buono al progetto del Partito democratico». Fassino dice di non sapere «chi abbia interesse a sporcare e intossicare il dibattito», ma a ben vedere i «veleni» cui fa riferimento sono da far risalire non solo alla Margherita di Rutelli, assolutamente contraria ad affidare le redini del nuovo partito alla Quercia, ma anche a Palazzo Chigi. Da dove, dopo un’iniziale apertura all’ipotesi di nominare un «capo», sia pur pro tempore, del Pd, sarebbe arrivato un voltafaccia. «Prodi era stato consultato e non aveva detto di no», confermano al Botteghino. Ma quando D’Alema, via intervista, ha formalizzato la proposta (e tutti hanno capito che si trattava di Fassino) tra premier e Ds c’è stata «tensione». «Voleva essere lui a pilotare l’operazione, invece si è visto scavalcato e ha dovuto fronteggiare la rivolta della Margherita, e ha stoppato tutto».
Ora Fassino fa un passo indietro, ma pone le sue condizioni: «Nel vertice dell’Ulivo che hai convocato per venerdì - dice a Prodi - è assolutamente necessario decidere con chiarezza il percorso che ci deve condurre all’assemblea costituente» di ottobre. Per il momento, a coordinare il nuovo soggetto possono restare i tre attuali sherpa (il ds Migliavacca, il dl Soro e il prodiano Barbi). Ma il braccio di ferro è tutt’altro che concluso, assicurano al Botteghino, e la candidatura di Fassino tutt’altro che sfumata: «Non si è mai visto un partito che non abbia un capo, e certo non può essere Prodi che deve occuparsi del governo», nota bellicoso il ds Lucà. Anche nella Margherita sono convinti che la partita sia ancora aperta, e che i Ds rilanceranno la proposta di un congresso, da tenere a ridosso della famosa Assemblea costituente del Pd, che elegga gli organismi dirigenti. «Ed è chiaro che, primarie o meno, i ds avranno la maggioranza dei delegati, e se decidono di candidare Fassino lo eleggono», dicono i Dl. E sul metodo troveranno sponda in una parte della Margherita: Dario Franceschini sostiene apertamente che un leader legittimato ci vuole. Ma che non può essere uno degli attuali segretari di partito. Né Rutelli né Fassino, dunque: e in molti pensano che il candidato alternativo potrebbe essere proprio il capogruppo dell’Ulivo.
Magari con l’appoggio di D’Alema, che da tempo sostiene che il Pd ha bisogno di «rinnovamento», di «giovani» (come Franceschini) e «donne» (come Anna Finocchiaro), soprattutto se si vuole evitare l’Opa che solo Walter Veltroni è in grado di lanciare su partito e leadership.
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