Laura Cesaretti
da Roma
«Se a metterci insieme perdessimo un milione di euro, secondo voi ci metteremmo insieme?». Buona domanda, poco politologica e molto concreta, quella lanciata da Giuliano Amato agli aspiranti fondatori del Partito democratico, riuniti ieri a Roma sotto la regia di Arturo Parisi, starring Francesco Rutelli, Piero Fassino e Romano Prodi e con la partecipazione straordinaria dei direttori Paolo Mieli (Corriere della Sera) e Ezio Mauro (Repubblica).
La cifra - un milione di euro - Amato lha buttata lì allingrosso, per indicare però un ostacolo significativo sulla strada della fusione di Ds e Margherita in un unico calderone «riformista». Il primo passo «della nostra rivoluzione», lo ha ribadito ieri anche Prodi, va fatto subito dopo le elezioni, ed è la costituzione di «gruppi unici» ulivisti alla Camera e al Senato. Servono per due motivi, ha spiegato il Professore: «Primo perché è lazione che prepara in modo visibile il partito democratico; secondo perché se dovessimo vincere le elezioni il governo dovrà affrontare problemi così seri che avrà bisogno di un gruppo parlamentare forte e coeso». Fassino sullargomento ha sorvolato, aprendo però alla prospettiva del partito unitario (ma precisando che per ora ognuno resta ancorato alle proprie «famiglie europee», e quindi che la Quercia resta nel Pse), Rutelli invece ha frenato: «Avremo un gruppo che organizza le componenti e un presidente di gruppo, alla Camera e al Senato, che ci rappresenti unitariamente».
Una sorta di federazione di gruppi, cosa diversa da quella che immagina il candidato premier, e anche per la ragione indicata da Amato: a fare un gruppo solo in Parlamento si perdono finanziamenti (tanti), dipendenti (pure tanti) e postazioni istituzionali, ergo «è difficile che Sposetti e Lusi ce lo faranno fare», ammette un esponente Dl, citando i due tesorieri dei partiti. Anche Amato è scettico: «Non è detto che le motivazioni etiche per fare il nuovo soggetto siano davvero più forti del disincentivo finanziario».
Gli ulivisti della Margherita però cantano vittoria e vedono ormai a portata dorizzonte lapprodo del partito unico: «Cè ampia convergenza con Rutelli sulla nostra linea, e anche le resistenze di Fassino stanno cedendo, come si è visto oggi», dicono dalle parti di Parisi. Merito del «nuovo clima che si è creato», e non si capisce bene se parlino delle primarie, o piuttosto della tempesta di Bancopoli e delle sue ripercussioni sulla Quercia, costretta a giocare in difensiva. E a incassare qualche affondo rutelliano: «Vogliamo una politica - avverte il leader Dl - che dialoga con tutti, ma che non organizza, direttamente o indirettamente, i soggetti del potere economico. Questa è la nostra idea di autonomia e dovrà essere punto caratterizzante del futuro partito democratico». In ogni caso è stata la Margherita a «vedere giusto nella vicenda bancaria», fin da gennaio, quando «dissi che Bankitalia non è intoccabile».
La data di nascita del nuovo soggetto non cè ancora: Mieli ha spiegato che va fissata entro metà della prossima legislatura, Amato ha proposto «il terzo anniversario delle primarie», Mauro ha invitato a far molto più in fretta, altrimenti non si esce «dalla stagione terribile del post-comunismo».
Il battesimo di ieri, va pur detto, non si è celebrato sotto i migliori auspici: Parisi, dalla cui «fervida mente», come dice Prodi, è nata lidea del convegno, è finito ieri mattina in ospedale per un malore («Era emozionato», ha spiegato Santagata) ed era quindi assente. Fassino se ne è andato prima della fine per correre a Torino ai funerali dello zio. La presidenza non faceva che porgere condoglianze e inviare auguri di guarigione. E il videoclip con colonna sonora di Ramazzotti mandato in apertura era pieno di bare e illustri estinti: Bobbio, Pantani, il crollo delle Twin Towers, i funerali di Nassirya, quelli di Wojtyla. Poi Prodi con le dita a «v» di vittoria sul Tir giallo.
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