Passato di sprechi e futuro da inventare

L’odissea della Tirrenia potrebbe trovare il suo ultimo porto al Tribunale fallimentare. Mercoledì avrebbe dovuto essere siglata la «quasi privatizzazione» della problematica compagnia di navigazione alla holding Mediterranea (che vede come azionista di riferimento la Regione Sicilia), ma all’ultimo è stato chiesto un rinvio per «definire prima l’accordo con le controparti finanziarie di Tirrenia e Siremar» e si è quindi aperta la porta al commissariamento e all’istanza d’insolvenza. Forse è meglio così, dato che nella procedura di cessione dei traghetti di Stato le ombre non mancavano.
Facciamo un passo indietro: la Tirrenia, forse più di Alitalia, rappresenta un esempio delle assurdità che hanno caratterizzato alcune partecipazioni statali negli ultimi decenni. Gestita sin dagli anni ’80 dal più fenomenale tra i boiardi di Stato, tale Franco Pecorini, Gentiluomo di sua Santità, che ha seppellito quasi 20 governi di qualsiasi colore rimanendo sempre saldissimo al timone dei «suoi» traghetti. I risultati sono palesi; difficile dire quanti denari pubblici si sia mangiata la Tirrenia in questi anni, ma è probabile che non si vada troppo lontano dai 2 miliardi, cifra con cui si potrebbe comprare 10 volte l’altra grande compagnia del Mediterraneo, la greca Minoan Lines. Anche senza voler infierire con i finanziamenti a fondo perduto, vanno ricordate come «medaglie» alcune scelte manageriali che hanno dell’incredibile: basti pensare alla disavventura dei traghetti veloci. L’idea accendeva la fantasia, si sarebbero potuti dimezzare i tempi di traversata per la Sardegna viaggiando su una specie di gigantesco motoscafo con auto al seguito, utilizzando lo stesso tipo di propulsione con cui il prototipo «Destriero» conquistò il Nastro Azzurro per la più veloce traversata dell’Atlantico. Andò malissimo. I primi due esemplari avevano il «piccolo» difetto di non poter navigare in modo tollerabile con il mare mosso e vennero rapidamente messi in soffitta; gli altri quattro, le più grandi navi veloci del mondo, battezzati con i più aggressivi nomi latini delle costellazioni, avevano lo sgradevole difetto di consumare un oceano di carburante: al minuto circa sette volte di più di un traghetto normale, si andava verso i 100mila litri di gasolio per ogni traversata (sola andata). Il risultato è che i traghetti superveloci, costati 55 milioni ciascuno, sono sparsi ad arrugginire in vari porti con il contribuente che ne paga graziosamente l’ormeggio, l’assicurazione e un mini equipaggio che ci sverna sopra e periodicamente li riavvia. Intanto i passeggeri sono costretti a utilizzare capolavori come le vecchie navi della serie «strade romane» che vanno per i 30 anni e che in alcuni casi hanno subito esperimenti degni di Frankenstein, con ponti rialzati e controcarene aggiunte perché la modifica ne aveva compromesso la stabilità. Una di queste navi, la Clodia, ieri si è distinta per aver lasciato sotto il sole 3mila persone a Civitavecchia a causa di un guasto.
Certo, a voler guardare il mondo con gli occhialini rosa, si potrebbe dire che l’Alitalia e le Fs non hanno in passato tratto grande giovamento dalla rotazione dei vertici, e l’inamovibilità del vertice Tirrenia almeno ci ha risparmiato le buonuscite milionarie che andavano tanto di moda nelle altre disastrate aziende statali. Si potrebbe anche dire che gli esperimenti navali sballati furono commissionati a Fincantieri e che, quindi, lo Stato in parte fagocitava con la sinistra quello che sprecava con la destra, il tutto condito con le solite scuse del «territorio disagiato» e della salita imprevista del petrolio, tuttavia non si tratta certo di una storia di cui andare fieri. Se il passato, però, è stato oscuro, il futuro non si prospetta luminoso: la proposta di Mediterranea Holding non è ancora ufficialmente tramontata, ma come sia possibile che la Regione Sicilia abbia le carte in regola e la tradizione di rigore per risanare una compagnia affossata dagli sprechi è un mistero.


Certo, spinti dall’Europa bisognava venire a una soluzione e altri acquirenti non ne sono saltati fuori nonostante una dote principesca (1,4 miliardi!) di aiuti di Stato, ma sarebbe meglio essere sicuri che anche in questo caso i compratori non stiano pensando a mangiare la torta, puntando poi a lasciare il conto sul solito tavolo. Magari il rinvio e il successivo commissariamento possono essere una buona occasione per controllare anche le virgole.
posta@claudioborghi.com

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