L’unica notizia è in realtà una conferma: il governo si appresta a ridurre gli incentivi per le energie rinnovabili. «Non possiamo più permetterci di concentrare in pochi anni investimenti che altri Paesi europei fanno in un arco di tempo molto più lungo», è la spiegazione del ministro Corrado Passera. Il costo dell’elettricità verde non sarà più scaricato sulle bollette, troppo alte, quanto (probabilmente) sui produttori. Detto davanti a una platea di industriali, non è proprio un viatico che infonde fiducia. Ma il ministro dello Sviluppo economico è certo del fatto suo: «L’Italia può crescere. Dobbiamo smentire le previsioni di un 2012 tutto negativo e dare almeno un segnale positivo entro la fine dell’anno».
Passera interviene al seminario Ambrosetti sul lago di Como. Parla in maniche di camicia, un po’ per il caldo, un po’ perché è la tenuta dei manager che mostrano di lavorare. Elenca i punti dell’«agenda Italia». «E per fortuna che c’è un’agenda nostra – esclama – perché qualche mese fa il rischio che qualcun altro ce la imponesse da fuori era altissimo». Lui però si limita a riepilogare i capitoli sui quali il governo intende intervenire, senza indicare misure precise. «Non ci piace la politica degli annunci», spiega. Tuttavia non sarebbe neppure male conoscere le vere intenzioni di chi ci governa.
La difesa di quanto fatto finora è totale: tasse («fiscal consolidation», la chiama lui), riforma delle pensioni, liberalizzazioni. «Lo spread non è la misura di tutto – dice Passera – ma con un debito pubblico di due trilioni di euro e un debito privato di un trilione e mezzo, ogni punto base di interesse vale 35 miliardi di euro. L’effetto è talmente enorme che doveva essere il primo oggetto della nostra attenzione». Poi viene la crescita. Sulla quale è già scritto il libro dei sogni, non ancora quello dei fatti.
Manca il lavoro. Lo sanno bene gli imprenditori radunati a Cernobbio dallo studio Ambrosetti. «Il disagio sociale è profondissimo: 5-6 milioni di capifamiglia che non lavorano significa che mezzo Paese soffre». Per Passera il Pil non è tutto: «Se non produce maggiore occupazione è inutile». E come fare a inventare nuovi posti? Un primo segnale viene dall’estero: «Molti Paesi crescono, ed è un segnale positivo per la nostra economia, non dobbiamo prenderla come una mortificazione. Interi settori possono essere trainati dalla domanda estera, come dimostra il buon andamento del nostro export».
Ma il governo che intenzioni ha? «Vogliamo fare tante cose assieme, toccare tutte le zavorre d’Italia». Rimettere dinamismo nell’economia, sloganeggia Passera. Liberalizzazioni, concorrenza, merito. Riforma del lavoro. Incentivi (ridotti) alle energie rinnovabili. Recuperare efficienza nella pubblica amministrazione (come? Mistero). Favorire la ristrutturazione delle aziende con la nuova imposta chiamata Iri. Interventi orizzontali, verticali, di filiera, geografici, infrastrutturali. «Lo sblocco delle grandi opere produrrà dai 40 ai 60 miliardi di euro, quattro punti di Pil», garantisce. Il carnet di Passera è ricco. Tuttavia chi si attende qualche indicazione non generica sulle linee di azione rimane deluso.
Capitolo risorse. Con quali soldi sarà finanziata la crescita? In parte viene dalla cosiddetta «spending review», cioè l’analisi (in corso) degli sprechi della pubblica amministrazione. Un po’ arriverà dalle privatizzazioni, ma ci vuol tempo. Il resto sarà spremuto dalla lotta all’evasione fiscale. «Abbiamo già varato alcune norme perché evadere sia più difficile – dice il ministro – e abbiamo aumentato i controlli. Ma dobbiamo intervenire sempre più attraverso una vera sanzione sociale». Gli evasori non sono ancora odiati al punto giusto. C’è troppa indulgenza verso i furbetti dello scontrino. «Non può più essere considerata furbizia non pagare le tasse – sottolinea Passera - non può essere considerato accettabile che chi ha uno stile di vita di buon livello non abbia poi una sua quota di partecipazione agli oneri pubblici».
Gli imprenditori non hanno fatto i salti di gioia alle parole del ministro. Emma Marcegaglia, presidente uscente, punta i piedi soprattutto sulla riforma del lavoro, che la vede in prima linea nel rivendicare flessibilità per le aziende. «Se si cambia l’accordo già raggiunto, si cambia tutto o al limite non si cambia nulla», ha detto commentando l’ipotesi di abbracciare il modello tedesco sulle modalità di licenziamento.
«Piuttosto che irrigidire il mercato meglio lasciare tutto com’è. Il reintegro non è l’unica opzione». L’interlocutore più adatto sarebbe stato il ministro Elsa Fornero, che era data tra i partecipanti al workshop Ambrosetti. Ma ha preferito restare defilata.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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