Cristiano Gatti
da Val di Mello
Una sporca guerra. Più sporca del solito. Al grasso di maiale. Per capire quanto sia delicata la vicenda, bisogna armarsi di un vocabolario d'inglese e immedesimarsi in un climber che scala un boulder, secondo il frasario dei fanatici del ramo: tradotto in montanaro, sarebbe uno scalatore che si allena su grossi macigni. È un esercizio che poi servirà in quota, sulle vie delle alte vette. Fondamentale avere mani forti e scegliere l'appiglio giusto. Ecco, siamo al punto critico: immaginiamo di stringere con quanta più forza ci riesce, di tendere tutti i muscoli nel fatidico momento di issarci, di guardare già al passaggio successivo, quando all'improvviso le nostre possenti mani di climber sul boulder avvertono inequivocabilmente molle, viscido, schifoso. L'olfatto avverte pure che è puzzolente. Nemmeno il tempo di disgustarci, e subito comincia la disfatta: scivoliamo offesi e vinti, lentamente e inesorabilmente, giù verso il basso. Spettacolo desolante. Diciamolo: non è dignitoso, per il climber che scala il boulder, chiudere pateticamente la performance in un tragico effetto Gatto Silvestro.
Se tutto questo succede in Val di Mello, un paradiso sopra la Valtellina, palestra naturale tra le più note e le più apprezzate al mondo, il fenomeno assume contorni gravissimi. Purtroppo, qui succede. Il grasso di maiale, che ha reso i macigni impraticabili e ripugnanti, è il colpo basso di una guerra combattuta ormai da anni, finora senza molto spazio per mediazioni e diplomazia. Da una parte i «Melat», che sarebbero gli abitanti della zona, da secoli protagonisti di un nobile allevamento, con transumanze, alpeggi e formaggi da estasi. Val di Mello, storicamente, è la tappa intermedia, dove i pastori si fermano prima e dopo l'attività lassù, nei pascoli dell'alta quota. Per farla breve: i «Melat» sono proprietari dei terreni che ospitano i massi, quei famosi boulder ideali per i climber nella fase di allenamento, prima di salire anch'essi sulle pareti vere in alta quota. Il problema è che i «Melat» ci coltivano i foraggi, in questi terreni, mentre i climber ci camminano sopra per arrivare ai sassi. Poche grane quando questo avviene in primavera, perché il pascolo deve ancora esplodere in tutto il suo verdeggiante fulgore. Ma la tensione sale alle stelle quando avviene a giugno, come in questo disgraziato 2006: complice il brutto tempo di un inverno che non finisce mai, i climbers spostano in là le ascese alle alte vette, fermandosi nella zona di allenamento molto più a lungo, proprio nel periodo dei prati da tagliare. Così, dopo tante beghe verbali risuonate per monti e vallate, stavolta la guerra imbocca il punto di non ritorno: qualcuno, di notte, passa alle armi improprie, quel terrificante grasso di maiale che pare proibito anche da diverse risoluzioni dell'Onu.
Da giorni, ormai, sui siti Internet dei climber non si parla d'altro. All'inizio, rabbia e sconforto. Poi, subito la riscossa. I Ragazzi della Zocca, libera associazione scalatrice di origini brianzole, gente che sale da anni in valle e che di questo Eden è pazzamente innamorata, bussa in Comune e offre la sua volontaria opera di risanamento. Lo spettacolo ancora si racconta di bocca in bocca, nel paese di Val Masino, poche case che fanno da capoluogo: per un'intera giornata, i ragazzi si armano di idropulitrice - genere autolavaggio - e spazzano via con potenti getti il fetido materiale organico. Al tramonto, i climber hanno di nuovo i loro boulder. Ma in tutti quanti è bruciante la sensazione che niente sia finito. Anzi, che questo sia solo il primo passo. Il perché lo si intuisce subito.
Nonostante gli autori del gesto di stampo suino siano tutt'oggi ignoti, Franco Della Mina, presidente del Consorzio allevatori (una sessantina), fatica a dissociarsi: «Se ingrassare i massi va inteso come difesa della proprietà privata dalla continua invasione di arrampicatori e turisti, allora appoggio il gesto. Anzi, l'autore ha adottato un metodo ecologico, storico, naturale e legale». Poi, il resto: «I fuorilegge sono gli scalatori, e tutti coloro che invadono i terreni infischiandosene di cartelli e recinzioni. Purtroppo in Val di Mello l'amministrazione comunale di Val Masino è latitante. Sfrutta i proventi del turismo, senza investire sul territorio. Se la Val di Mello è quel gioiello che tutti ci invidiano, il merito e dei «Melat». Sono fiero di dirlo e di rappresentarli. Ma una cosa è certa: gli abitanti della valle sono stanchi ed arrabbiati. Viviamo continuamente situazioni di disagio. In più il Comune ci fa pure pagare il pass per accedere alle nostre abitazioni in auto...».
Nell'altra trincea, sul sito degli assidui, dopo aver pesantemente commentato la carognata del grasso, la «sassista» Sara conclude con il sarcasmo: «Constatiamo che finalmente i turisti possono sostare sotto i bei massi con asciugamani, creme abbronzanti, corredo da pic-nic e relativa immondizia, senza essere infastiditi dai climber irrispettosi della natura. Chi ha imbrattato i massi ne sta raccogliendo i frutti. Niente più ragazzacci, ma solo turisti casinari...».
C'è da chiedersi se questo angolo del pianeta, così bello da togliere il fiato, si meriti una simile pubblicità. Se cioè possa salire agli onori della fama per il grasso di maiale e per i climber che scivolano schifosamente giù dal boulder come ridicoli gatti silvestri. È chiaro: questa storia non può finire così. Non deve finire così. Per fortuna, dopo l'olezzo di maiale, in questi giorni si respira nell'aria un vago sentore di pace. Una cosa ancora impercettibile, però c'è.
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