Paura dell’islam, una fiction spacca in due i vertici Rai

Il progetto di Martinelli sulla battaglia dell’11 settembre 1683 che salvò l’Europa è stato approvato. Ma con il voto contrario di consiglieri di sinistra e presidente

Paura dell’islam, una fiction spacca in due i vertici Rai

Un altro film di Renzo Martinelli crea scompiglio in Rai e forti divisioni tra i consiglieri. Il regista, ieri, ha incassato l’approvazione del Cda per la pellicola-fiction dedicata a Marco d’Aviano, il prete che fermò l’invasione musulmana nel 1683, ma con una dura presa di posizione contraria degli esponenti di centro sinistra. Martinelli, già regista del Barbarossa e del Mercante di pietre non è nuovo a queste polemiche, ogni suo lavoro viene sottoposto a un fuoco di fila di critiche soprattutto in relazione alla sua amicizia con Bossi. Spesso viene additato come il regista del senatür che tiene molto a creare una cultura e una cinematografia leghista. Lui difende il suo film e parla di una «operazione di alto profilo che vuole far conoscere un grande personaggio della storia europea senza scadere in una visione anti-islamica».

Ma vediamo prima le critiche. Il contratto per la produzione del nuovo film (che anche questa volta verrà realizzato in due versioni, una per il cinema, l’altra per la tv) è stato approvato con il voto contrario dei due consiglieri vicini al centrosinistra, Nino Rizzo Nervo e Giorgio Van Straten e del presidente Paolo Garimberti, che hanno sollevato dubbi sia di natura editoriale che economica. Al film la Rai parteciperà con una quota di 4,1 milioni di euro più un altro milione e tre di Rai Cinema. Racconta come d’Aviano realizzò la «Lega santa», l’alleanza che consentì alle truppe cristiane di respingere l’assalto delle armate ottomane a Vienna proprio nella notte tra l’11 e il 12 settembre del 1683. Nel ruolo del protagonista dovrebbe esserci (sono ancora in trattativa) Joseph Fiennes (Shakespeare in love) e nel cast due amici del regista, Murray Abraham e Harvey Keitel. Alla sceneggiatura ha lavorato Valerio Massimo Manfredi, il maggiore scrittore italiano di romanzi storici. Il set apre a marzo.

«Abbiamo votato no - spiega Rizzo Nervo - per vari motivi: intanto mentre la versione per la tv verrà intitolata “Marco d’Aviano”, quella per il cinema dovrebbe intitolarsi “11 settembre”, il riferimento è all’11 settembre 1683, dove furono i cristiani a massacrare i musulmani respingendo l’assalto a Vienna. Ci sembrava francamente sbagliato e inopportuno che il servizio pubblico partecipi alla produzione di un film che si preannuncia marcatamente anti-islamico e che ha un titolo provocatorio». «Inoltre - aggiunge Rizzo Nervo - abbiamo posto un problema di investimenti: non si conosce ancora la quota che metterà Rai Cinema, ma già la quota Rai di 4,1 milioni di euro per una fiction di prima serata per cui si prevede uno share del 18% su Raiuno è fuori dai parametri aziendali. Terzo punto, abbiamo ricordato che il precedente di Barbarossa dal punto di vista dei ricavi aziendali non è stato certo esaltante: al botteghino è stato un flop e in tv non sappiamo ancora come andrà: dovrebbe andare in onda a dicembre».

Alle critiche il regista risponde che a suo parere i consiglieri non hanno letto la sceneggiatura. «Noi abbiamo cercato di scrivere un film che tiene in considerazione entrambi i punti di vista: cristiano e islamico. I due protagonisti, Marco d’Aviano e Karà Mustafa sono intimamente convinti di essere nel giusto. Noi vogliamo andare alla radice della divisione tra Occidente e Oriente che risale a quella battaglia in cui i cristiani fermarono gli ottomani che stavano per invadere Vienna e volevano arrivare fino a Roma». E quindi non bastava lasciare al film il titolo Marco d’Aviano? «Purtroppo lui non è molto conosciuto e invece dovrebbe diventare un simbolo per l’Europa come Giovanna D’Arco. Quindi per dare al film un maggiore impatto pensiamo di intitolarlo “11 settembre”. Del resto anche Bernard Lewis ha messo in relazione le due date».

E per quanto riguarda il piano finanziario? «Il 40 per cento è coperto dalla Rai, il 20 per cento dalla tv pubblica polacca, il 10 dall’Austria e il restante dagli sponsor. La versione per la Tv sarà abbondantemente ripagata dalla pubblicità. Confidiamo nella risposta del pubblico in sala e soprattutto nella vendita all’estero». E se finisse come per il Barbarossa che è stato respinto al cinema? «Quel film ha avuto tantissimi compratori all’estero, deve ancora affrontare la prova televisiva.

Al cinema è andato male anche per il pregiudizio ideologico che c’è sempre in Italia, è stato criticato da tutti perché non rientra nei giri della sinistra». Ma lei ottiene i finanziamenti perché rientra nei «giri» di Bossi? «La risposta è solo una: questa è una grande coproduzione internazionale, italiana, polacca, austriaca, con attori di Hollywood».

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