Luciano Violante, già comunista e ora postcomunista di spicco, se lè presa con Il Riformista che ha pubblicato un suo atto di contrizione sulle foibe titolandolo: «Mi vergogno desser stato comunista». Il titolo, riassuntivo e incisivo come i buoni titoli devono essere, non ha travisato il contenuto dellaccorata confessione di Violante, il quale, esprimendo i suoi sentimenti di spettatore duna rappresentazione dedicata appunto alle stragi di italiani per mano di comunisti jugoslavi (purtroppo anche per mano di comunisti italiani) aveva testualmente scritto: «Mi sono reso conto per la prima volta che la mia storia politica era stata dalla parte degli aggressori, di chi aveva legato il fil di ferro ai polsi delle vittime prima di precipitarle, non dalla parte di chi aveva i polsi legati. Dalla parte di chi aveva violentato e non dalla parte di chi era stato violentato». Eppure offensivo e falso è il titolo, secondo Violante, che ha interrotto la collaborazione con Il Riformista. Del che il direttore Antonio Polito ha preso atto «con mestizia».
Non sono tra coloro che esigono pentimenti da questo e da quello. La scena politica e la scena culturale sono affollate di transfughi ai quali è difficile - non fosse altro che per il loro imponente numero - chiedere conto di più o meno remote liaisons dangereuses. Ma almeno, quando il pentimento cè, che sia riconosciuto con chiarezza, e non avvolto da alibi e attenuanti risalenti al fatto che il Pci era «diverso», e «diversi» i comunisti. Non indugio - lha già fatto da par suo Giampaolo Pansa - sulla grottesca inverosimiglianza di quel «per la prima volta». Ma come: cè voluta una messinscena rievocativa, nel Giorno della memoria, per schiudere a Violante labbagliante verità delle efferatezze comuniste? Non ne aveva avuto sentore in precedenza? Ho stima per lintelligenza di Violante: e quindi vedo in questo suo atteggiamento sbigottito non linnocenza stolida dello sprovveduto, ma lambiguità di chi, nonostante tutto, vuole sempre avere ancoraggi sicuri. E rende omaggio ai combattenti di Salò, salvo poi precisare e rettificare.
Aggiungo che prendere atto - a Urss distrutta e comunismo relegato tra i ferri vecchi ideologici - di antichi misfatti è più facile adesso di quanto fosse alcuni decenni or sono. E tuttavia, da uomo di mondo, capisco la riluttanza dun Violante a rinnegare in toto il suo passato militante. Che danno gli dà lessere fuori dalla falce e martello, ma anche un po nostalgico dei medesimi? Nessuno. Se poi sopravviene - come è sopravvenuta - una bufera economica, i semipentiti e quasi convertiti possono sempre riesumare qualche anatema dannata contro il capitalismo avido e arido.
Vi fu un tempo in cui, nel Pci forte e duro di Palmiro Togliatti, i tentennamenti cauti, i compromessi astuti non erano consentiti. Dopo la brutale repressione sovietica della rivolta di Budapest, nel 1956, il capo della Cgil Giuseppe Di Vittorio sottoscrisse un documento «eretico». «Il Migliore» sentenziò che Di Vittorio era «un sentimentale e non un politico» e lo convocò alle Botteghe Oscure. Di Vittorio, reduce da un infarto, vi si recò con la moglie Anita che aveva pronta in borsa una siringa, se lavesse preso un attacco. Quando uscì, il sindacalista era un uomo disfatto. Scoppiò a piangere e ad Antonio Giolitti, suo vicino di casa, disse che «la classe operaia non meritava cose simili». Ma poi si adeguò. Nellottavo congresso del Pci (dicembre 1956) un delegato di Firenze, Valerio Bertini, si rivolse a Togliatti con una serie di domande che lo scandalizzarono per come erano rozze e volgari. Enrico Berlinguer, il tanto compianto Berlinguer, rimproverò compuntamente il Bertini per avere usato espressioni inaccettabili. E poi Togliatti replicò con la lingua di legno degli apparatchik esaltando «la critica costruttiva», ma deplorando «la critica distruttiva».
In confronto a quella stagione cupa e ferrigna, le successive ci appaiono indulgenti: con uscite ed entrate di sicurezza in abbondanza, per chi voleva passare da sinistra a destra o viceversa, e anche per chi preferiva tenersi in mezzo al guado. Ma anche se le foibe sono state coperte da un lungo silenzio, e anche se per molti anni lidentificazione dei trucidati con i fascisti è stata contrabbandata come verità, Luciano Violante ne ha di sicuro sentito parlare abbondantemente. Dalla foiba di Basovizza gli angloamericani estrassero, tra il luglio e lagosto del 1945, «450 metri cubi di resti umani». In contemporanea i comunisti triestini e il Pci inneggiavano a Tito.
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