RomaOnorevole Cesare Salvi, una vita nel Pci-Pds-Ds e dopo trentanni non è più parlamentare. Un osservatorio privilegiato per parlare del Pd: li conosce tutti talmente bene...
«Certo che li conosco bene, e mi spiace che siano in crisi».
Ma non è sempre stato iper-critico sui suoi ex compagni?
«Sì, per motivazioni che ora purtroppo si stanno avverando tutte. Eppure non credo sia un bene per la democrazia che il maggior partito dopposizione sia in default».
La questione morale è stato un suo cavallo di battaglia.
«Era il luglio del 2005: presentammo un documento che impegnava il partito sulla questione morale, partendo proprio da episodi di malcostume che si registravano in Campania e Calabria. Primo firmatario, Giorgio Napolitano...».
Una Cassandra. Che accadde?
«Che il documento fu accolto con scalpore. Poi, edulcorato, fu approvato. Rimase lettera morta: almeno però da lì prendemmo le mosse, assieme con Massimo Villone, per scrivere un libro di discreto successo sui Costi della politica, da poco ristampato».
È tornato di stringente attualità, praticamente una strenna sotto lalbero di Veltroni.
«Purtroppo. Ma non infierisco di certo. Mi pare di ricordare che il Pd abbia un codice deontologico, mi chiedo che fine abbia fatto».
Qui però ormai siamo sul limite del codice penale.
«Di eventuali responsabilità penali non tratto: le accerteranno i magistrati, se ve ne sono. La questione da me posta era ed è politica, e riguarda tutti i partiti. Emergono da anni comportamenti e fatti che magari non costituiscono reato, ma che non sono politicamente tollerabili. La caduta degli ideali e dei valori, vedi il caso del Pd, non sono stati sostituiti da alcun altro universo di riferimento».
Per qualcuno è diventato una specie di partito della «roba».
«Debolezze della carne... In politica le tentazioni sono tante: se manca una forte idealità e un sistema di regole trasparenti per tenerle a bada, ecco fatta la frittata. Non si può pensare che basti unidentità para-obamiana calata dallalto...».
Ma i postpiccì si ritenevano i primi della classe. Fine della «diversità» vantata da Berlinguer?
«Berlinguer e Craxi sono stati due grandi progetti, peraltro falliti entrambi ed entrambi finiti tragicamente. Vanno guardati con rispetto, non trascinati nello scontro».
Giorgio Amendola raccontò di aver dovuto chiedere a Togliatti se faceva bene a comprar casa a Velletri, indebitandosi.
«Appunto: un altro mondo, oggi ci accontenteremmo di uno standard di moralità molto più blando se non proprio svedese. Ai tempi del Pci un dirigente che avesse sfoggiato un Rolex o unauto di lusso non sarebbe durato tre mesi».
Oggi se ne vedono tanti. Come avessero preso alla lettera linvito cinese di qualche anno fa: compagni, arricchitevi!
«I tempi sono cambiati. E spero in una reazione. Però è vero che il controllo sociale agisce come forte deterrente, e si traduce in partiti strutturati e vitalità delle rappresentanze elettive. Oggi le assemblee elette dal popolo neppure vengono sentite: prenda il caso Campania, dove la fine di una stagione è evidente... Occorrerebbe far esprimere gli elettori. O, almeno, sapere che ne pensano i militanti del Pd. Invece sembra uno scontro tra oligarchie, nel quale il consiglio regionale non riesce a votare la sfiducia, come se non esistesse. Persino Rifondazione non revoca il suo appoggio...».
Malcostume mezzo gaudio?
«Se non ci sono valori né regole, prevale la logica della conquista del consenso a ogni costo. Della clientela. Non è casuale che si tratti di sanità, smaltimento dei rifiuti, urbanistica, servizi pubblici: settori nei quali manca una seria normativa. Chiaro che poi una decisione di piano del sindaco o di un assessore sposti miliardi...».
Più regole, più moralità. Ma Uòlter come ne esce? Paradossale che proprio il principale alleato di Di Pietro soccomba sotto la questione morale, non trova?
«Non sono così malizioso o cattivo.
Li conosceva tutti... Ma li riconosce, ora?
«Maaa sì... Al rubacchiamento dei capi non credo. Dei loro grossi errori politici sono certo».
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