RomaLe ultime ore hanno il ritmo irregolare di una ferita che si apre e poi si medica, si lacera e si richiude. Di strappi improvvisi e di avvicinamenti inaspettati. Di mano tese e rifiutate e poi ancora tese. Di sollievo e paura da una parte, di orgoglio e ancora paura dallaltra. Le parole sono le stesse, uneco circolare: «Farà una brutta fine». «Farà una brutta fine». «Si schianterà contro un muro». «Non andrà lontano». Berluscones e Finiani. Il coro dellultimo atto. Le stesse parole: i finiani di Berlusconi, i berluscones di Fini. Ed è davvero il finale, questa volta: «Lufficio di presidenza del Pdl considera le posizioni dellonorevole Fini assolutamente incompatibili con i principi ispiratori del Popolo della Libertà, con gli impegni assunti con gli elettori e con lattività politica del Popolo della Libertà». La separazione scritta su un foglio di carta. La sentenza. La fine. A tarda serata, dal Consiglio di presidenza del Pdl riunito a palazzo Grazioli, esce un documento in cui si pone in discussione «il ruolo di garanzia» di Fini, ossia la sua presidenza della Camera. Lattacco adesso è frontale. Fini è sfiduciato. Lo si accusa di voler distruggere il partito, di aver espresso opinioni «non come un legittimo dissenso, bensì come uno stillicidio di contrarietà». Ci sono solo due parole: «allo stato», volute da Ignazio La Russa, che lasciano aperto un estremo ma forse inutile spiraglio. Il documento prevede anche di mettere Italo Bocchino, Carmelo Briguglio e Fabio Granata, i tre finiani più duri e critici nei confronti dei colleghi del Pdl, nelle mani dei probiviri. Saranno loro a sancirne una eventuale espulsione ai sensi dellarticolo 48 dello Statuto. Il documento è stato votato allunanimità, con tre «no» dei finiani Urso, Ronchi e Viespoli, che hanno chiesto «ventiquattrore» per valutare luscita dal Pdl. Per questo è un ultimatum da entrambe le parti. Se tutto lo scontro tra Fini e Berlusconi è stata una lenta guerriglia, questo finale è il logorio più sfiancante e pericoloso. Ieri non è stata solo una giornata politica, ma un momento cruciale in cui si pesano amicizia e tradimenti. In cui si deve scegliere. Tutto può potenzialmente ancora accadere. Lultimo atto è in fondo un inizio.
Il giorno del giudizio, o della verità, o della scelta, parte a Montecitorio. I berluscones come sollevati da una minaccia finita. I finiani scossi da una fierezza combattiva e tragica. Uniti ufficialmente per lultima volta, hanno votato quella manovra di Tremonti che Berlusconi voleva risolvere assolutamente senza ostacoli. Alle 11 e mezzo il portavoce del Pdl, Daniele Capezzone, conferma: «Il tempo per ricomporre le questioni interne è ormai scaduto». Viene comunicato che lufficio di presidenza del partito si terrà alle 19. La Russa ridacchia con i giornalisti un po cinico, un po dispiaciuto: «Le previsioni? Guardate il meteo. Dice perturbazioni...». Poi, dopo il compitino del voto, ognuno dalla sua parte. I finiani al primo piano, dal presidente della Camera. I berluscones a pranzo, come se lultimo giorno fosse un giorno come gli altri.
È il conto alla rovescia. Gli artigli dei falchi e soprattutto del re dei falchi finiani, Italo Bocchino, e i ponti tesi dalle colombe. I pontieri, li chiamano: da parte berlusconiana il sempre presente Gianni Letta, ma anche gli amici non in parlamento come Confalonieri e Giuliano Ferrara. È una mattina e un pomeriggio di indecisione, sofferenza, speranza, per chi non cerca la guerra. Per gli ex colonnelli: come Andrea Ronchi e Gianni Alemanno, sindaco di Roma, che ancora sperava nel «miracolo».
Arrivano le cifre. Sono i numeri a decidere i rapporti di forza dei «transfughi» nei confronti di chi resta saldamente con Silvio Berlusconi. Lelenco dei finiani alla Camera. Pronti a tutto pur di non mollare Gianfranco. Allora di pranzo circola voce che i fatidici 20 o 30 hanno firmato un documento per la costituzione di un gruppo parlamentare autonomo. Si tratta in realtà di un semplice testo di solidarietà a Fini. Da palazzo Madama arriva la notizia che gli scissionisti sarebbero «più di dieci». Avanza lipotesi, tra i ribelli, di un appoggio esterno al governo. Limpressione è che alle agenzie di stampa vengano inviate veline dai falchi, al fine di alzare il livello di scontro.
Intanto cè un uomo che sta scrivendo il testo di condanna: il coordinatore Sandro Bondi. È su Fini che la penna si arresta, è sul suo nome che si aggiunge e si cancella. Il documento, allinizio molto severo, diventa meno intransigente. Adesso è a palazzo Grazioli che si discute. Berlusconi riunisce i coordinatori.
I finiani alla Camera pronti alla guerra diventano 33. A Montecitorio tra i berluscones inizia a crescere la preoccupazione. Poco prima dellufficio di presidenza è Berlusconi che torna a voler correggere il documento: sia più duro con Fini. E così è deciso.
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