Pechino, Bush chiude la visita con successo

A Pechino il presidente Usa domina la scena raccogliendo applausi. Ma sui Giochi aleggia la minaccia del partito islamico del Turkestan

Pechino, Bush chiude la visita con successo

George Bush junior per cinque giorni a Pechino ha mosso più aria del carnevale cinese. Ha deciso di agitare le ali e di fare sentire la propria voce. È andato dovunque, ha inaugurato la nuova ambasciata Usa, una delle più grandi al mondo, si è presentato ai banchetti, è apparso alle cerimonie religiose, ha tifato alle gare in piscina e sulla sabbia, sventolando la bandierina, facendo le smorfie, inciampando, sorridendo, imprecando, socchiudendo gli occhi che sono due asole con quell’espressione di chi, uscendo dalla doccia calda, cerca, tra i vapori, l’accappatoio o l’asciugamano. Il suo passo è quello del cowboy da mezzogiorno e mezzo di fuoco, volendo dimostrare alla Cina tutta che l’America è sbarcata non soltanto con i campioni da podio ma anche con il numero 1 dei numeri uno, il Presidente. Quando è sceso dal suo Air Force ha fatto intendere che se Obama è alle porte lui non ha alcuna fretta a uscire dalla stanza ovale, anzi. Avvisata la Cina con i messaggi sulla libertà, incontrato il collega Hu Jintao, Bush ha provveduto a riempire le giornate pechinesi anche con il solito guaio di cronaca nera: l’omicidio e il ferimento di due cittadini statunitensi parenti di un allenatore presente alle Olimpiadi. Mentre le indagini proseguono, sono proseguiti i Giochi di Bush. È stato così segnalato sul campo delle pallavoliste, quelle del beach volley, ha puntato alla versione hard della disciplina e qui ha sfiorato il primo scandalo: una delle due atlete statunitensi, dopo i saluti, i sorrisi e la stretta di mano, convinta delle qualità taumaturgiche, si fa per dire, del Presidente, ha assunto una posizione ambigua, di spalle, con le mani sulle cosce, mostrando le terga, sperando di essere toccata nel punto giusto e così lanciata verso la vittoria olimpica. Bush ha avuto un attimo di esitazione, memore forse delle avventure del proprio predecessore, ha deviato la traiettoria della mano e si è limitato con un buffetto a toccare la schiena della ragazza che, delusa, è andata a battere, il servizio intendo dire, nel senso sportivo e tecnico del termine. Lasciata la sabbia Bush ha preferito un attimo di riflessione e di preghiera. Con le dodici ore di fuso differente è entrato in una chiesa protestante, a Kuanjie, e ha assistito alla funzione religiosa, in cinese ma con traduzione per lui e la first lady, per ribadire, dicono le agenzie di stampa, il diritto alla libertà di culto, fenomeno questo sconosciuto nella terra dei Giochi, altrui. Per riprendere entusiasmo la famiglia Bush è passata dal sacro al profano, una bella gita in piscina, al Cubo d’Acqua, dove gli squali americani, con Phelps in testa, hanno fame di medaglie di ogni tipo. Il Secret Service ha dovuto fare gli straordinari, Bush, infatti ha suonato l’adunata, con lui la moglie Laura, il padre George, il fratello Marvin, la sorella Dorothy, la figlia Barbara e, per non farsi mancare proprio niente, anche una vecchia conoscenza mondiale, Henry Kissinger. Posso immaginare il numero di autovetture blindate, di lampeggianti e affini, di uomini di scorta e radiomobili al seguito. Qui è incominciato un bel filmetto, perché non appena Bush ha messo piede nel Cubo, preso dall’emozione, forse anche dalla differenza di fuso orario, dagli applausi degli spettatori, dunque preso da tutte queste cose qui, Bush non ha visto un gradino della tribuna d’onore, è inciampato, ha perso l’equilibrio, ha preso a dondolare, un paio di guardie del corpo hanno acciuffato al volo il medesimo quando ormai sembrava destinato al tuffo non previsto dal programma ufficiale delle gare. Bush ha ripreso la giusta direzione e ha raggiunto il posto centrale in tribuna e qui è stato dotato di apposita bandierina a stella e strisce, necessaria per la scenografia e la fotografia di repertorio. Michael Phelps ha ingoiato i suoi 400 misti dorati, come un qualsiasi bagnante farebbe, in queste ore, però sui dieci metri in stile libero arruffato, ha alzato il pugno al cielo ed è arrivato il momento della premiazione. Al momento dell’inno tutti in piedi, come ha chiesto lo speaker nelle varie lingue. Sono partite le note di The Star Spangled Banner ma improvvisamente la musica si è fermata e il silenzio ha riempito il Cubo. Attimi di tensione e di imbarazzo, sguardi incrociati, mormorii. Boicottaggio cinese? Fine dello spirito olimpico? Inizio delle guerra fredda? Gli uomini del Secret Service erano pronti ad entrare in azione, Phelps che è uno squalo ma di acqua dolce si è messo a ridere, Bush, dopo aver abbozzato la smorfia di sempre da dopo doccia senza asciugamano, ha capito che doveva fare lo stesso, dunque ha sorriso, la musica è tornata, non sembrava nemmeno l’inno di Francis Scott Key ma ormai l’oro era garantito, la bandierina era sventolante e tutta la brigata Bush, con Kissinger appresso, sapeva che l’America, anche stavolta, ce l’aveva fatta. Nuovo trasloco, al palazzotto dove Usa e Cina andavano a canestro.

Gitarella, sull’84 a 50 per i «suoi» Bush ha salutato gli astanti e se ne è andato con i pellegrini al seguito, quasi a dire, ho sistemato pure la pratica basket, altre novità? Si torna a Washington, la Cina è roba del passato, ora tocca a Obama, occhio al gradino.

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