La sigla P.E.N. non fa che raccogliere le iniziali delle parole inglesi Poets, Essayists e Novelists, mentre lassociazione - lInternational P.E.N. Club, aperta a scrittori, traduttori e giornalisti senza alcuna distinzione politica o di nazionalità - raccoglie invece oltre 160 associazioni gemelle in tutto il mondo. Con uno scopo preciso: promuovere la libertà despressione e combattere ogni forma di oppressione delle libertà intellettuali.
Lassociazione madre fu fondata a Londra nel 1921, ma già lanno successivo, grazie al giovane letterato antifascista Lauro De Bosis che nel 31 sorvolò Roma con il suo aereo sganciando 400mila volantini e precipitando in mare subito dopo, nacque il Pen italiano. E nacque a Milano, dove, dopo la scomparsa di De Bosis, un intellettuale straordinario come Enzo Ferrieri - editore, direttore artistico dellEiar, uomo di teatro - aggregò il Pen Club alla sua rivista letteraria Convegno, nominando presidente Tommaso Gallarati Scotti. Da allora la sezione italiana del club delle penne ha avuto presidenti illustri - da Filippo Tommaso Marinetti a Ignazio Silone, da Alberto Moravia a Mario Soldati - crescendo per numero di soci e attività promosse. Tra queste, il premio Pen Club (ideato nel 1991 da Lucio Lami, da ventanni vera anima dellassociazione e oggi presidente onorario) che in un Paese come l'Italia dove le competizioni letterarie sono più numerose degli stessi scrittori si pone come lanti-premio per eccellenza, al di là e al di fuori di lobby, cordate, favoritismi e polemiche. Basti vedere cosa sta succedendo in queste ore a Viareggio... E questo grazie alla formula ideata da Lami, uno dei grandi inviati del giornalismo italiano, già reporter prediletto di Montanelli, scrittore e intellettuale fuori dagli schemi e dagli schieramenti, proprio come il suo premio: «Il Pen è sempre stato e sarà sempre un premio diverso perché facendo votare solo i soci-scrittori, oltre 220 in questo momento, si eludono giochetti e camarille. Il nostro è un voto al merito - lo slogan infatti è Lo scrittore votato dagli scrittori - dal quale le case editrici rimangono completamente escluse. Anche se un alto funzionario di un grosso gruppo editoriale alledizione del debutto mi sussurrò allorecchio In un paio danni fagociteremo anche voi..., siamo rimasti sempre autonomi. E i primi ad accorgersi di questo valore aggiunto sono stati gli scrittori stessi, che considerano il Pen tra i premi più prestigiosi, e che se finiscono in cinquina non rinunciano mai ad arrivare fin qua su». Dove qua su è il borgo medievale di Compiano, sulle colline di Parma, scenario storico del premio, splendido peraltro ma - ahinoi - lontano, in tutti i sensi, da Milano dove invece ha sede lassociazione. «Perché questa stranezza? Perché la Milano delle istituzioni con il Pen purtroppo non parla, o parla senza ascoltare. Una difficoltà di dialogo che sconfina, spiace dirlo, con lottusità politica. Anche recentemente abbiamo parlato con il sindaco Moratti e con lassessore alla Cultura Vittorio Sgarbi. Sul tavolo cera anche lidea di portare a Milano la Cattedra dei diritti umani dello scrittore, il grande convegno internazionale annualmente organizzato dal Pen, ma alla fine ci siamo riusciti solo grazie agli sponsor privati... E con il premio letterario è lo stesso: tante promesse, parole e poi niente. Lessere completamente apolitici, in questo senso ci penalizza». E così si resta a Parma.
Intanto, il premio galoppa con le sue gambe. Dopo aver scoperto e consacrato, in passato, grandi talenti e spiazzato più volte con le sue scelte la critica - il Pen fu assegnato agli inizi degli anni Novanta a scrittori come Antonio Tabucchi, quando era ancora semisconosciuto, e a Susanna Tamaro, quando la futura bestsellerista praticamente non aveva recensioni sui giornali, così come premiò loutsider Paolo Mauresing e bocciò Dacia Maraini - il prossimo weekend a Compiano concluderà la sua 17esima edizione (con una cinquina di finalisti che conta penne del calibro di Messori e Saviano).
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