Roma - No all’aumento dell’età della pensione e no a disincentivi per scoraggiare chi vuole ritirarsi prima dei sessanta. Sindacati e sinistra radicale pretendono la cancellazione dello scalone della riforma Maroni, e sono disposti a sostituirlo solo con l’introduzione di incentivi. E si stanno preparando a difendere questa trincea a tutti i costi. Uno sforzo inutile, visto che i riformisti dalla coalizione sembrano avere gettato la spugna. «Non dobbiamo togliere i diritti acquisiti a nessuno», ha assicurato ieri il vicepremier e leader della Margherita Francesco Rutelli. Un’impostazione simile a quella emersa ieri da indiscrezioni provenienti da Palazzo Chigi, secondo le quali il presidente del Consiglio Romano Prodi intende proseguire tenendo presente il programma elettorale che resta la «stella polare» del governo. Un richiamo, quello al programma, caro al Prc, al Pdci e ai Verdi.
A far riaprire il dibattito erano state delle anticipazioni su un blando piano di «riforma della riforma» delle pensioni che prevede di sostituire lo scalone (età pensionabile da 57 a 60 anni con 35 anni di contributi dal 2008) con un sistema che lascia al lavoratore la scelta, limitandosi a prevedere un premio per chi ritarda il ritiro dopo i 57 e con un disincentivo per chi si pensiona prima dei sessanta anni. Il ministro del Lavoro Cesare Damiano ha negato la paternità del piano anche perché - ha spiegato - le decisioni vere arriveranno solo con il confronto esecutivo-sindacati che si terrà dopo il conclave del governo. Impostazione confermata da ambienti vicini al premier che hanno invitato i ministri a giocare questa partita «a carte coperte».
Gli spazi per misure strutturali o di risparmio sono sempre più risicati. Le priorità dettate dal ministro della Solidarietà sociale Paolo Ferrero (Rifondazione comunista) lasciano poco spazio a dubbi: «In primo luogo si toglie lo scalone». Poi si può pensare agli incentivi, escludendo i disincentivi che - ha aggiunto - «sono un aumento mascherato dell’età pensionabile».
Nessuno tra gli esponenti del governo si è posto il problema di come coprire i costi che comporterà l’abolizione della riforma previdenziale varata dal centrodestra. Solo la Cgil ha ribadito la sua ricetta che consiste - come ha spiegato il segretario confederale Morena Piccinini - nell’utilizzare le entrate contributive per circa 5 miliardi di euro strutturali che deriveranno dall’aumento dei contributi per autonomi e precari previsto dall’ultima Finanziaria. In sostanza, il maldigerito giro di vite previdenziale su autonomi e atipici della manovra 2007 dovrebbe servire ad evitare altri tre anni di lavoro agli attuali pensionandi.
Anche Cisl e Uil hanno bocciato i disincentivi. Ma nel sindacato cattolico e in quello laico le novità di fine anno hanno più che altro fatto crescere la sfiducia nei confronti del governo. E la certezza che i tempi di quello doveva essere il piatto forte della fase due, si allungheranno. «Non per nostra scelta», ha assicurato il numero due della Cisl Pier Paolo Baretta. Meno diplomatico il segretario generale della Uil Luigi Angeletti secondo il quale «c’è confusione e non c’è nemmeno in corso il classico lavorio di preparazione. Tutto ciò mi fa pensare che gennaio più che per il negoziato servirà per capire dove si vuole andare».
Diverse le valutazioni che prevalgono tra i partiti della sinistra radicale, convinti di avere già vinto questa partita con Romano Prodi e quindi sicuri che non ci sarà nessun tentativo di allungare la vita lavorativa degli italiani. Un’idea plausibile, come dimostra la marcia indietro del vicepremier Francesco Rutelli che ieri in un’intervista al Tg1 ha assicurato che non verranno toccati «i diritti acquisiti di nessuno» e che «la grande riforma» delle pensioni (cioè la Dini) è già stata fatta.
Ma la previdenza continua a creare qualche problema anche nel centrodestra, visto che ieri l’ex sottosegretario Maurizio Sacconi ha sentito il bisogno di spronare i colleghi di coalizione a essere «più consapevoli dei buoni risultati del governo Berlusconi».
Quello che è certo è che le incertezze sembrano avere un peso anche nelle scelte degli italiani.
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