Il pentito accusa il boss: «Uccise l’avvocato che l’aveva difeso male»

da Milano

Non sempre gli imputati restano soddisfatti di come il loro avvocato li ha difesi. Capita che facciano ricadere sul povero difensore colpe che non ha: come se fosse stato lui a convincerli a delinquere, o lui a farli arrestare. Accade che cambino avvocato, che rifiutino di pagarlo, a volte che lo denuncino. Anche Maria Spinella, giovane e determinata avvocato milanese, aveva un cliente scontento. Ma non era un cliente qualunque. Era uno di quei clienti che non amano sentirsi trascurati. Un boss che le fece pagare con la pelle quel suo errore, vero o immaginario che fosse.
Sembrava un delitto destinato a restare avvolto da mistero, un fascicolo destinato a fare la polvere. Accade tutto la sera dell’ultimo lunedì dell’ottobre di due anni fa, alle porte di Milano. L’avvocato è nella sua casa di Segrate. Gli assassini sanno di trovarla in casa perché è agli arresti domiciliari, per una strana storia di droga che ha fatto finire in carcere il suo fidanzato (un ex cliente, e non è la prima volta che a Maria accade di convertire i rapporti di lavoro in rapporti d’amore). I carabinieri sono appena venuti a controllarla. Sul tardi, qualcun altro bussa. L’avvocato apre. Le sparano subito, con accanimento. Otto colpi. Muore all’istante. Vendetta trasversale? Storia passionale? Domande che sembrano destinate a restare senza risposta.
Invece, un anno dopo, un nuovo «pentito» inizia a riempire pagine di verbali con la Dia di Milano. Si chiama Luigi Cicalese, e alza il velo sugli affari di una serie di veterani del crimine organizzato al Nord: Pepè Onorato, Ugo Martello, Luigi Bonanno, gente che negli anni Ottanta e Novanta fece sfracelli ma che si riteneva ormai prossima alla pensione. Invece Cicalese racconta come attorno ai padrini dai capelli bianchi sia ancora attivo un giro di ricatti, di usura, di riciclaggio, di traffici di opere d’arte. All’inizio del luglio scorso, il pm Celestina Gravina li fa arrestare tutti. Insieme a loro, finisce a San Vittore un cinquantenne rampante: Antonio Ausilio, detto «il Topo», calabrese di Crucoli, trapiantato a Trezzano sul Naviglio. Anche lui, dice la Dia, fa parte della cupola mafiosa.
Ed oggi è nelle pieghe di quel fascicolo che emerge la storia dell’uccisione della giovane professionista. Cicalese, il pentito, dice di avere avuto anche lui una love story con Maria Spinella. All’avvocatessa piacevano i clienti importanti, l’idea di sbarcare il lunario con le difese d’ufficio non le garbava. Attraverso Cicalese arriva ad Ausilio. Al boss quell’avvocatessa giovane e tosta fa buona impressione. E quando lui e Cicalese vengono arrestati a Lucca per usura la nomina difensore di fiducia.

Per Maria Spinella sembra l’inizio di una carriera, invece è l’inizio della fine. Perché, mentre Cicalese esce subito, «il Topo» resta in carcere un anno e mezzo. Si infuria, si convince che la colpa sia dell’avvocatessa e quando esce decide di fargliela pagare.

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