Perché alla fine Ciampi firmerà la riforma

Paolo Armaroli

Per ben quattro anni il centrosinistra ha tirato per la giacchetta il presidente Ciampi, quasi che fosse uno sprovveduto che non conoscesse poteri e doveri propri dell'alta carica. Non pago di queste bravate, ora si azzarda a mettergli pure le pulci nelle orecchie. A fornirgliene il destro è stata l'approvazione da parte dell'assemblea di palazzo Madama della delega al governo per l'ordinamento giudiziario. Una legge, secondo le parole usate da Ciampi nel messaggio di rinvio alle Camere del provvedimento, che «preordinata com'è a dare attuazione alla VII disposizione, primo comma, della Costituzione - rappresenta un atto normativo di grande rilievo costituzionale».
Com'è noto, l'iter del provvedimento è stato particolarmente tormentato. Il relativo disegno di legge, presentato dal governo al Senato il 29 marzo 2002, è stato definitivamente approvato il primo dicembre scorso dopo un'esasperante navetta tra i due rami del Parlamento. Ma quindici giorni dopo Ciampi lo ha rinviato con messaggio motivato alle Camere per una nuova deliberazione avendo riscontrato quattro profili di palese incostituzionalità. Questi i punti contestati. Primo, le linee di politica giudiziaria per l'anno in corso enunciate alle Camere dal Guardasigilli. Secondo, il monitoraggio dell'esito dei procedimenti giudiziari affidato a strutture del ministero della Giustizia. Terzo, la legittimazione del Guardasigilli a ricorrere in sede di giustizia amministrativa contro le delibere del Csm concernenti il conferimento o la proroga di incarichi direttivi, adottate in contrasto con il concerto o il parere del ministro. Quarto, l'invasione della sfera di competenza riservata al Csm.
Così la legge è tornata al Senato. E l'assemblea, nella seduta antimeridiana del 26 gennaio, ha accolto la proposta della commissione Giustizia di limitare la discussione alle parti che hanno formato oggetto del messaggio del Quirinale. Non che fosse tenuta a farlo, beninteso. Poteva infischiarsi dei rilievi e approvare di nuovo la legge così com'era, o limitare la discussione solo ad alcune parti, o correggere altri articoli non oggetto del messaggio. Il Senato si è mosso invece entro il perimetro tracciato da Ciampi. Ma allora perché, tanto per cambiare, maggioranza e opposizione si sono guardate in cagnesco? Per il semplice motivo che l'una è convinta di aver risposto con scrupolo ai rilievi del Colle, mentre l'altra riconosce sì che è stata eliminata la disposizione sul monitoraggio dei provvedimenti giudiziari. Ma contesta tutte le altre modifiche, a suo avviso di pura facciata. E prende soprattutto di mira l'emendamento del relatore Bobbio volto a tagliar fuori Caselli dalla direzione nazionale antimafia.
Una truffa? Una norma formato tessera? Una novità che potrebbe permettere un domani al capo dello Stato un ulteriore rinvio alle Camere? Nulla di tutto ciò. Difatti il Senato ha stabilito che siano da intendersi indirettamente oggetto del messaggio anche «tutte le disposizioni comunque connesse con termini di scadenza previsti dalla legislazione vigente la cui modifica potrebbe risultare necessaria in conseguenza del rinvio disposto dal presidente della Repubblica». Perciò, quando la legge approvata martedì scorso dal Senato verrà confermata dalla Camera, Ciampi sarà tenuto a promulgarla. Così tassativamente dispone l'articolo 74 della Costituzione. Solo nell'ipotesi (scolastica) che riscontrasse nella legge gli estremi dell'attentato alla Costituzione, Ciampi potrebbe opporre un rifiuto. Con il risultato che le Camere solleverebbero conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato davanti alla Corte costituzionale. Ma di conflitti di tal fatta, uno basta e avanza. Ma sì, quello sul potere di grazia.


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