Perché l’Unione non rinuncia alle liste civetta

Paolo Armaroli

Giovanni Sartori è un raffinato scienziato della politica. Eppure la pensa esattamente come Ginettaccio Bartali. Di politologia, il Campionissimo non capiva un'acca. Ma pure lui era fiorentino purosangue. Perciò, entrambi attaccabrighe. Per loro, tutto è sbagliato, tutto da rifare. Non da oggi le leggi elettorali per i due rami del Parlamento, varate nel 1993 dopo il successo del referendum manipolativo, sono la bestia nera del Maestro. Il loro padre è Sergio Mattarella, autorevole deputato della Margherita e docente di Diritto parlamentare all'Università di Palermo. E che ti fa il Nostro? Con facile ironia le ribattezza Mattarellum. Come a dire che bisogna essere un po' fuori di testa per partorire simili oscenità. Per il vero non ci sembrano né cervellotiche né oscene. Sono la fedele traduzione legislativa del responso referendario. E - per usare una felice metafora dello stesso Sartori - bene o male ci hanno regalato la bicicletta del bipolarismo. Prima avevamo invece un triciclo, costruito da Cavour nel lontano 1852 grazie al Connubio con Rattazzi, ormai logorato dall'uso. Con questa riforma, la proporzionale si è ridotta al 25% dei seggi riservati alla Camera e al Senato. Mentre il restante 75% è appannaggio di chi, come in Inghilterra, nei singoli collegi uninominali ha anche un solo voto in più degli antagonisti. Questo sistema elettorale è più proporzionale di quanto possa apparire. Difatti prevede lo scorporo, che nella quota proporzionale sottrae voti alle liste dei candidati vincenti nei collegi. Perciò nelle circoscrizioni rosse premia la Casa delle libertà. Mentre in quelle dove prevale il centrodestra, favorisce l'Unione o come caspita si chiama. Ma nella Patria del diritto e del rovescio, fatta la legge, trovato l'inganno. Concepito per la prima volta - disonore al demerito - da un diessino acculturato come Bassanini, che una ne fa e cento ne pensa. Esso consiste nel collegare i candidati nell'uninominale alle cosiddette liste civetta. Inventate di sana pianta allo scopo di non pagare il prezzo dello scorporo. Che a questo punto non ha più ragion d'essere. Tanto più che il centrosinistra - parola di D'Alema, amante dello sberleffo - è costituito da un mezzo partito, il suo, e da dodici virus. Perciò questa coalizione non avrà che l'imbarazzo della scelta. Potrà usarli a piacimento per disfarsi dello scorporo. Visto e considerato che sono tanti i «virus» al di sotto della soglia del 4%, necessaria per concorrere al riparto proporzionale. Saggiamente il testo unificato della mini riforma elettorale predisposto dall'azzurro Donato Bruno, presidente della commissione Affari costituzionali, abolisce lo scorporo. Oltre ad avere il merito di rendere più agevole il voto dei cittadini e ridurre il numero delle schede nulle. Nella seduta pomeridiana del 29 giugno doveva iniziare in assemblea la discussione del provvedimento. Ma si è pensato bene di temporeggiare. Perché chi la vuole cotta e chi cruda. L'Udc punta sul ripristino della proporzionale, mettendo così a repentaglio il bipolarismo. Svariati deputati temono di non venire rieletti senza lo scorporo, fingendo d'ignorare che è già stato bellamente aggirato. Mentre l'opposizione, nostalgica di un consociativismo relegato in soffitta dalla democrazia maggioritaria, si comporta come i bravi di manzoniana memoria. Tuona che senza il suo consenso nessun ritocco alle leggi elettorali, per quanto piccolo e ragionevole, s'ha da fare. Oppone un altro veto pregiudiziale, insomma. Traviata da Prodi, non fa che ripetere sempre e comunque un triplice no. Caritatevoli d'animo come siamo, ci auguriamo che l'anno prossimo il centrosinistra nel suo stesso interesse non vinca le elezioni. Altrimenti non saprebbe cosa diavolo dire. E continuerebbe a fare opposizione. Stavolta, a se stesso.


paoloarmaroli@tin.it

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